Carlo Goldoni
La donna di garbo

ATTO PRIMO

SCENA QUARTA

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SCENA QUARTA

 

Dottore e Rosaura

 

DOTT. Brava, brava: così mi piace. Ma ditemi, la mia cara Rosaura, siccome vi l'animo di svegliar lo spirito di mia figlia, non potreste ritrovare la maniera di correggere la maledetta ambizione di Beatrice mia nuora?

ROS. Oh, se vi troverei la maniera! Sono fatta a posta per insegnar la modestia alle donne.

DOTT. Se ella continua così, manderà in rovina la mia povera casa.

ROS. Pur troppo l'ambizion delle donne è la rovina delle famiglie. Ma lo comporta vostro figlio?

DOTT. Mio figlio non pensa ad altro che a giocare al lotto, e anch'egli tende alla distruzion della casa. Tutto il giorno studia le cabale, né mai è arrivato a vincere un paolo, e non bada alla moglie, come se non l'avesse.

ROS. Veramente, secondo l'uso moderno, i mariti badano poco alle loro mogli. Ma in questo fanno male. Dice il proverbio, l'occasione fa l'uomo ladro; alle donne bisogna badarvi. Poverine! si maritano per quello: ora basta, non dubitate: vi prometto di farle una lezione, che la metterà a dovere senz'altro. Non vi è cosa peggiore della vanità delle mode. Che diavolo di vergogna! ogni mese una moda nuova! ora la coda come le regine; ora il sottanino come i lacchè; ora asciutte asciutte come una fantasima, ed ora con mezzo miglio di guardinfante. Si dovrebbero bandire gl'inventori di mode, come fomentatori dell'umana ambizione.

DOTT. (Ah, si può dir di più?) (da sé)

ROS. Ma che vuol dire, signor padrone, così tardi andate questa mattina a Palazzo?

DOTT. Non è molto che è suonato il campanone, e poi stamattina non ho altro che una causa sola.

ROS. E bene, per questa causa sola non dovete esser meno sollecito che se ne aveste dieci; il vostro avversario sarà forse ad attendervi, e per la vostra tardanza, credendovi timoroso, prenderà maggior animo. Vi ho pur inteso dir tante volte: melius est praevenire, quam praeveniri.

DOTT. (Che spirito!) (da sé) È vero, avete ragione, dite bene; ma la causa di questa mattina è de minori, e la tratteremo sommariamente avanti il giudice di prima istanza, dappoi ch'egli avrà ascoltate le cause di conseguenza.

ROS. Per qual giorno avete stabilita quella vostra bella causa de fideicommisso?

DOTT. Per dopo dimani.

ROS. Io sono di parere che la guadagnerete senz'altro.

DOTT. Siete instrutta voi della causa?

ROS. Instruttissima.

DOTT. Ma in qual modo ne siete informata?

ROS. Vi dirò, signore: quando venne il procuratore, io stava dietro alla portiera ad ascoltare l'informazione col maggior gusto del mondo; e sentite se l'ho capita benissimo. Fabrizio de' Mascardi, testatore nell'anno 1680, fece il suo testamento: non aveva figliuoli maschi, ma solo due figlie femmine maritate, chiamate l'una Lugrezia, l'altra Costanza; instituì eredi universali e fideicommissari i figli maschi di dette sue figlie egualmente. Passando poi alla sostituzione, dice queste precise parole: E quando non vi saranno più maschi, vada alle femmine discendenti da dette mie figlie. Veniamo al fatto. Le due figlie del testatore ebbero tutte due maschi e femmine: ma ora della linea di Lugrezia sono finiti i maschi, e vi restano tuttavia delle femmine, ed all'incontro della linea di Costanza vi sono ancora dei maschi. Ecco il punto di ragione. Quaeritur: Se le femmine di Lugrezia s'intendano chiamate alla sostituzione usquequo sussistano ancora i maschi dell'altra linea. So che i vostri avversari, proponendo che nella prima instituzione vi sia la reciproca, sostengono che non siano capaci le femmine, se non dopo l'estinzione de' maschi d'ambe le linee; ma so altresì, che fondandovi voi sulla parola egualmente, sperate risolver l'obbietto, tanto più che non avendo espressa la reciproca, il testatore ha bisogno della interpretazione del giudice, e sostenendo che in substitutione foeminae sunt expresse vocatae, spero che guadagnerete la causa. Io però voglio darvi un avvertimento. Si tratta di un punto di ragione, onde vi possono essere hinc inde abbondantissime prove. Provedetevi pertanto d'una moltitudine di testi, di leggi, d'argomenti, d'esempi, di pratiche, di decisioni, di statuti, di decreti, e se tutto quello che ha scritto Giustiniano nell'Instituta, nel Codice e nei Digesti, non vi bastasse, inventatevi voi delle leggi nuove, citate con l'interpretazioni d'autori incogniti, mentre a queste l'avversario non saprà rispondere, ed il giudice, vergognandosi di non saperle, vi darà ragione per riputazione, ricordandovi di quel detto che coram judice audacia saepe saepius triumphat. Signor padrone, andate a Palazzo che l'ora vien tarda, poi tornate a casa a riposarvi ed a fare una buona corpacciata, mentre sapete che omnia tempus habent. (parte)

 

 

 


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