Carlo Goldoni
La donna di garbo

ATTO PRIMO

SCENA OTTAVA

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SCENA OTTAVA

 

Rosaura e poi Lelio

 

ROS. Che bella cosa è questo uniformarsi ai temperamenti delle persone! Ma che fa questo signor Lelio, che non viene avanti? Chi è di ! Vi è nessuno?

LEL. È permesso ad un reverentissimo servo della signora Beatrice poter avanzare il suo ossequiosissimo passo?

ROS. La mia padrona viene ad essere favoritissima delle grazie di un cavalier compitissimo.

LEL. Vostra signoria è la cameriera degnissima della signora Beatrice prestantissima?

ROS. Per servire vossignoria illustrissima. (inchinandosi)

LEL. Quanto tempo è ch'ella adorna colle industriose sue mani la beltà di madama?

ROS. Oggi per l'appunto il sole compisce per l'ottava volta il suo corso.

LEL. Molto erudita, molto faconda! Oh, come bene epilogò la natura le doti del corpo e quelle dell'animo nella signora... Qual è il suo riveritissimo nome?

ROS. Rosaura, per obbedirla.

LEL. Rosa nel purpureo delle gote, giglio poi nella candidezza del seno, e tale la credo nella purità dell'animo.

ROS. Benignissimi sensi d'un cavaliere generosissimo!

LEL. (Poter del mondo! costei mi soverchia!) (da sé)

ROS. (Mi par di far colpo). (da sé)

LEL. In che, signora, ha ella esercitata la rara perspicacità del suo più che femmineo talento?

ROS. Appunto nelle femminili incombenze, le quali però, benché sembrino vili all'occhio fosco degli abbietti mortali, vengono sollevate da più arcani misteri. Scemando dalla conocchia la messe per accrescere al fuso lo stame, io contemplai sovente il sottil filo di nostra vita, e spezzandosi talvolta per accidente un tal filo, così (dicea fra me stessa) così finiamo di vivere.

LEL. Che eloquenza! che riflessioni! Ma ingrata troppo la sorte col di lei merito, a uffizio indegno anzi che no condanna la sua singolarissima, prodigiosissima e venerabil persona.

ROS. La felicità umana consiste nel contentarsi del proprio stato. Io, contentandomi della mia sorte, posso chiamarmi felice.

LEL. Ella si contenta di poco.

ROS. Chi si contenta di poco, possiede molto.

LEL. (Ah! s'io potessi far acquisto di un sì bello spirito, felicissimo me!) (da sé)

ROS. (Questo suo borbottare fra sé, mi lusinga d'una nuova vittoria. Povero stolto! Quanto s'inganna!) (da sé)

LEL. Deh perdonatemi, se troppo forse rilascio l'incauto freno della rispettosa mia lingua. Avete ancora felicitato qualche avventurato mortale col tesoro della vostra grazia?

ROS. Se l'aspetto vostro venerabile non m'imponesse di rispettar ciecamente qualunque vostra proposizione, vi direi codesto essere un paradosso. I tesori di grazie non si dispensano dalle persone abbiette, come io sono.

LEL. La vostra esemplare modestia vi caratterizza sempre più per una Penelope del nostro secolo.

ROS. E la vostra saggezza vi dipinge per un Ulisse novello.

LEL. Sarebbe eterogeneo fra di noi, ad esempio loro, il castissimo nodo?

ROS. Io ciò non giungo a decidere: ma so bene che, in quanto a me, non potrei promettervi un erudito Telemaco.

LEL. Per che causa?

ROS. Perché Minerva non si prenderebbe la cura di allevare il figlio d'una vil femminuccia.

LEL. Signora, voi mi avete ferito.

ROS. Ma con quali armi?

LEL. Con due potentissimi strali. Uno scoccato da' vostri lumi, l'altro dalla facondia de' labbri vostri.

ROS. La ferita non sarà penetrante, a causa della debolezza delle armi.

LEL. Ah, che sin dentro del cuore m'impressero la fatal piaga!

ROS. Signor cavaliere, quest'espressione ha del romanzesco.

LEL. Pur troppo ella è una miserabile storia.

ROS. I comici se ne servirebbero per soggetto d'una commedia.

LEL. Ah, dite piuttosto d'una tragedia.

ROS. Sì, quand'io credessi alle vostre espressioni.

LEL. Non ricuso versar il sangue per autentica d'una tal verità.

ROS. Serbate il sagrifizio per un idolo più meritevole. Signore, la mia padrona vi attende.

LEL. Voi siete la padrona di questo cuore.

ROS. Obbligatissima alle sue grazie. Vada pure a far le convenienze.

LEL. Convenienza trovo sol l'adorarvi...

ROS. O vada ella, o io vado?

LEL. Crudele!

ROS. Ma vada.

LEL. Spietata.

ROS. Ma via.

LEL. Vado sì; ma teco resta il mio cuore. (parte)

 

 

 


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