Carlo Goldoni
La donna di garbo

ATTO SECONDO

SCENA DODICESIMA

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SCENA DODICESIMA

 

Florindo ed Isabella

 

ISAB. Che diavolo fate? Siete pazzo? Far innamorare di me quella povera ragazza?

FLOR. Mi prendo un poco di spasso.

ISAB. Non vorrei che tanto vi perdeste nelle fievolezze.

FLOR. Che volete? ch'io pianga?

ISAB. No, ma pensate al vostro impegno. Mi avete levata da Pavia, mia patria, anzi dal seno de' miei genitori, promettendomi di sposarmi subito che fossimo arrivati in Bologna. Sollecitate dunque questi sponsali.

FLOR. Ma adagio un poco; non abbiate sì gran fretta.

ISAB. Conosco la vostra volubilità. Non voglio che perdiamo tempo.

FLOR. Dimani ne parleremo.

ISAB. Benissimo. Frattanto fatemi assegnare una stanza.

FLOR. Sapete ch'io v'amo e che fo stima della vostra nobile condizione. Ma non siate così rigorosa e severa; datemi almeno una buona occhiata.

ISAB. Eh sì, sì; vi conosco.

FLOR. Sapete ch'io sono la stessa fedeltà.

ISAB. Basta; lo vedremo.

 

 

 


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