Carlo Goldoni
La donna di governo

ATTO QUARTO

SCENA PRIMA   Camera di Valentina   BALDISSERA e FELICITA

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ATTO QUARTO

 

 

 

SCENA PRIMA

 

Camera di Valentina

 

BALDISSERA e FELICITA.

 

FEL.

No certo, s'io tacessi, sciocchissima sarei.

Come! di cento scudi darmene solo sei?

BAL.

Vi par poco sei scudi? li avete meritati?

Certo con gran fatica li avete guadagnati!

FEL.

A voi per dir il vero costano gran sudori!

Se non mi date il resto, vi saran dei gridori.

BAL.

Se più vi do un quattrino, poss'essere ammazzato,

E mi dispiace ancora di quelli che vi ho dato.

FEL.

Ecco, se li volete.

BAL.

Dateli pur.

FEL.

Briccone!

Vorreste ancora questi giocarli al faraone?

BAL.

Io giocar?

FEL.

Poverino! egli non gioca mai.

Che sì che nelle tasche un soldo più non hai?

BAL.

Chi v'ha detto ch'io gioco?

FEL.

Da cento l'ho saputo,

E uscir dalla biscaccia io stessa vi ho veduto.

E se il sa Valentina...

BAL.

Felicita, badate

Che da voi non lo sappia.

FEL.

E ben, cosa mi date?

BAL.

Tutto quel che volete.

FEL.

Vo' dieci scudi ancora.

BAL.

Vi darò dieci scudi.

FEL.

Via, metteteli fuora.

BAL.

Subito?

FEL.

Immantinente.

BAL.

Ve li darò tra poco.

FEL.

Ho capito, ho capito, voi li perdeste al gioco.

BAL.

Maladetta fortuna! tu vuoi precipitarmi.

Per carità, Felicita, non state a palesarmi.

FEL.

Se non ho i dieci scudi, tacere io non m'impegno.

BAL.

Ma dove ho da trovarli?

FEL.

Dammi l'anello in pegno.

BAL.

Qual anello?

FEL.

L'anello che da lei ti fu dato.

BAL.

Da Valentina?

FEL.

Appunto.

BAL.

Anche l'anello è andato.

FEL.

L'hai venduto?

BAL.

L'ho in pegno.

FEL.

E per che far?

BAL.

Pel gioco

Ma la fortuna ingrata s'ha da cangiar fra poco.

FEL.

Povera mia sorella! sta fresca in verità.

Sì, la voglio avvertire.

BAL.

Ah no! per carità.

FEL.

Per carità ch'io taccia? Sì facile non è.

La carità, fratello, dee principiar da me.

Se resta miserabile per voi la Valentina,

Se a lei giocate tutto, che farò io meschina?

BAL.

Non temete di nulla: saprò il debito mio.

Felicita, vel giuro, giocar più non vogl'io.

Fate che Valentina mi sposi immantinente;

Vi sarò buon amico, vi sarò buon parente.

E se col vostro mezzo si viene a conclusione,

Io di trecento scudi vi fo l'obbligazione.

FEL.

La metterete in carta?

BAL.

Sì, di mia man firmata.

FEL.

Da un pubblico notaro la voglio autenticata.

BAL.

Fatta solennemente sarà, come volete.

FEL.

Ecco qui l'occorrente. L'obbligazion stendete. (tira innanzi un picciolo tavolino con quel che occorre)

BAL.

Subito fo il servizio.

FEL.

Fatel come va fatto.

BAL.

(Anche mille in tal caso gliene darei per patto). (scrive a suo modo)

FEL.

(Nasca quel che sa nascere, più strolicar non vo'.

Questi trecento scudi da parte io metterò.

E se qualche altra cosa mi riescirà avanzarmi,

Può essere ch'io trovi ancor da maritarmi). (da sé)

BAL.

Che dirà Valentina?

FEL.

Non vi saran litigi;

Anzi farà il notaro un viaggio e due servigi.

Se posso persuaderla sposarvi a dirittura,

Potrà del matrimonio stendere la scrittura.

BAL.

Voi avete una testa acuta e sopraffina,

Degnissima sorella siete di Valentina.

Fate che si concludano le nozze in questo giorno.

Vado per il notaro, e quanto prima io torno. (parte)

 

 

 


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