Carlo Goldoni
La donna di governo

ATTO QUINTO

SCENA DODICESIMA   VALENTINA  e detti

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SCENA DODICESIMA

 

VALENTINA  e detti.

 

VAL.

Eccomi qui, signore.

FAB.

Cosa dice costui? (accennando il Notaro)

VAL.

So quel che dir volete.

Se mi udirete in pace, tutto, signor, saprete.

Ascoltatemi voi, m'oda la terra e il cielo:

Il carattere mio sinceramente io svelo.

Nacqui in bassa fortuna; del mio destin mal paga,

La condizion servile di migliorar fui vaga,

E in queste soglie istesse i conquistati onori

Mi guadagnai coll'opera, e mi costar sudori.

Che non fec'io, signore, per acquistar concetto?

Che non fec'io per essere gradita in questo tetto?

Tutti servir m'accinsi, e le padrone istesse

Potean de' miei servigi esser contente anch'esse.

Ma per destino avverso da voi fui troppo amata,

E l'amor del padrone render mi fece odiata.

L'odio l'odio eccitando, anch'io di sdegno accesa,

La vendetta, schernita, colla vendetta ho resa,

E l'animo ripieno di femminil dispetto,

Disseminai pur troppo discordie in questo tetto.

Ma questo è il minor fallo, più desta il mio rossore

Fiamma che ho coltivato di un imprudente amore.

Venni a servir qua dentro dal primo amor piagata;

Gli occhi di Baldissera m'aveano innamorata.

E a voi celando il foco che ardea ne' petti nostri,

Piacevole un po' troppo mi resi agli occhi vostri.

Una povera figlia senza sostanza alcuna

Cercò mal consigliata di far la sua fortuna.

So che l'error fu grande, ma mi sedusse il cuore

Il comodo, l'esempio, la povertà, l'amore.

Giunsi coll'amor mio soverchiamente ardito

Far creder di Felicita quel ch'io volea in marito;

E da un error passando a più studiati eccessi,

Giunsi a sposar l'amante sugli occhi vostri istessi.

Era per me il contratto. A voi da me fu letto,

Tacciando de' vostri occhi il debole difetto.

Sostituito ho il nome, e i scudi diecimila

Letti da me con arte non son che quattromila.

Di quattromila scudi son ricca a vostre spese;

Renderli son disposta a voi senza contese.

Povera son venuta, povera tornar voglio;

Detesto le menzogne, detesto il folle orgoglio.

So che merto castigo, so che un'ingrata io sono.

Eccomi a' vostri piedi a domandar perdono. (si getta a' piedi di Fabrizio)

FAB.

(Si mostra confuso fra la rabbia e l'amore, facendo alcuni movimenti che mostrano le due passioni)

Ah trista!... (Oh me infelice!...) Vattene... (Ah mi martella!)

Che tu sia maladetta... Alzati... (Oh sei pur bella!)

DOR.

Brava, signora sposa!

GIU.

Valentina garbata!

VAL.

Abbastanza, signore, son io mortificata.

La caritade insegna non avvilir gli oppressi.

Tutti abbiamo bisogno di esaminar noi stessi.

 

 

 


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