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Donna Giulia, Fabrizio, poi Orazio
GIU. Converrà che mi adoperi con premura per impiegar quest'uomo. Il Conte mi ha fatto de' piaceri consimili più d'una volta.
ORAZ. Umilissimo servidore di Vostra Signoria illustrissima.
GIU. Siete voi che mi ha recato la lettera del conte de' Trappani?
GIU. Che fa il conte de' Trappani?
GIU. Non sapete dir altro, che per obbedirla?
GIU. In che cosa vorreste voi impiegarvi?
ORAZ. Un poco di tutto, per obbedirla.
GIU. Per far piacere al Conte, io cercherò d'impiegarvi; è necessario però ch'io sappia fin dove si estende la vostra abilità; ma se ho da farvi dell'altre interrogazioni, io non posso soffrire la seccatura dell'obbedirla.
GIU. Sì, perdoni. Per quel ch'io sento, il vostro vocabolario è molto ristretto. Sapete voi assettare il capo?
GIU. Sapete preparare una tavola?
GIU. (Costui è una caricatura). E dove avete servito?
ORAZ. Ho servito a Roma, ed ho servito a Bologna, ed ho servito in Ancona, e in altri luoghi ho servito, per obbedirla.
GIU. Amico, mi dispiace dovervi dire, che io non sono in grado di offerire a nessuno una simile caricatura.
GIU. Come siete venuto?
GIU. Trattenetevi qui per oggi.
ORAZ. Per obbedirla. (si ritira un poco)
GIU. (Mi maraviglio del Conte, che mi abbia mandato uno stolido di questa sorte). Avete ancor terminato? (a Fabrizio)
FABR. Com'era mai possibile, signora mia, ch'io scrivessi, con questo pappagallo che m'intronava le orecchie?
GIU. Vi compatisco; sollecitatevi. (a Fabrizio che si pone a scrivere) E voi, riposatevi; e poi, se non troverete qui da servire... (ad Orazio)
FABR. Ecco il padrone, signora. (a donna Giulia)