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Don Properzio in disparte, e detti.
PROP. (Che cos'è quest'imbroglio?) (vedendo don Alessandro in ginocchio)
ALESS. Movetevi a pietà di un amante. (alzandosi)
GIU. Mi trovereste fors'anche disposta a compiacervi, se non vi andasse dell'onor mio.
PROP. (L'onor suo? E il mio non lo conta per niente?)
ALESS. Ah! sì, trovate voi il modo di consolar le mie fiamme, e di porre in salvo il decoro.
PROP. (Sì, è una signora di spirito. Lo troverà ella il modo. Non vorrei far nascere un precipizio).
GIU. Non si accheterà donna Aspasia.
ALESS. Perdonerà, se una maggior bellezza mi accende.
PROP. (Donna Giulia le par più bella di donna Aspasia?)
GIU. (Mio marito?) Signore, perché non venite innanzi?
PROP. Non vorrei disturbare gli affari suoi.
ALESS. (Va facendo delle riverenze a don Properzio, il quale grossamente gli corrisponde)
GIU. Gli affari miei e gli affari vostri non devono essere fra noi comuni?
PROP. Non signora; non vorrei che fossero le cose nostre tanto comuni.
GIU. E bene, dunque. Se i miei impegni v'infastidiscono, non venite dappertutto a perseguitarmi.
PROP. Se vengo, vengo perché mi ci fa venire l'onore.
GIU. Che onore? Che dite voi dell'onore? In che cosa v'interessa l'onore? Ardireste voi di pensare villanamente? Una dama della mia qualità non ha bisogno di custodi dell'onor suo. Posso tollerare tutte le inquietudini che mi arrecate, ma quest'insulto mi eccita a dichiararvi... (con sdegno)
PROP. E perché Vostra Signoria si riscalda? (con sdegno)
GIU. E voi, che cosa intendete di dire? (come sopra)
PROP. Dico di questa polizza del sartore, che vuol esser pagato, che l'onore vuol che si paghi, e che io non intendo di pagar per lei.
GIU. Date qui, signore. (gli strappa il conto di mano) Mi maraviglio di voi, e delle vostre insoffribili stravaganze (parte)