Carlo Goldoni
Lo scozzese

ATTO SECONDO

SCENA UNDICESIMA   Donna Aurelia e la suddetta.

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SCENA UNDICESIMA

 

Donna Aurelia e la suddetta.

 

GIU. Oh! donna Aurelia, che onore è questo che m'impartite?

AUR. Il vostro segretario mi ha fatto sapere che desiderate parlarmi, e non ho tardato a ricevere i vostri comandi.

GIU. Sono molto tenuta alle vostre finezze.

AUR. Mi ho fatto accompagnare fin qui dal signor don Ridolfo Presemoli...

GIU. Permettete ch'io vi prenda una sedia...

AUR. E sono restata sola, e non ho trovato nessuno...

GIU. Scusate se non vi è un servitore...

AUR. E sono salita le scale così da me...

GIU. Per una certa avventura...

AUR. Ho chiamato, e non rispondendo nessuno...

GIU. Trovandomi senza la cameriera...

AUR. E così a caso sono venuta innanzi.

GIU. Accomodatevi.

AUR. Che cosa avete da comandarmi?

GIU. Donna Aurelia, voi sapete che ho per voi della stima, e che professandomi vostra amica...

AUR. Mia madre m'ha imposto di farvi i suoi complimenti.

GIU. Obbligatissima. Che fa donna Fulgida?

AUR. Al solito. Sempre male.

GIU. Povera signora, me ne dispiace. Ora, figliuola mia, permettetemi ch'io vi dica...

AUR. Da quindici giorni a questa parte ha moltissimo peggiorato.

GIU. Se il ciel vorrà, starà meglio. Parliamo ora di ciò che preme.

AUR. Io credo che i medici non abbiano conosciuto il suo male.

GIU. Sentite quel che ho da dirvi...

AUR. Chi dice una cosa, chi dice un'altra. Contrastano fra di loro, e l'ammalata peggiora.

GIU. Cara donna Aurelia, permettetemi ora, che possa dirvi il motivo per cui vi ho incomodata.

AUR. Eh avete bel dire voi, che non siete ne' guai ne' quali mi trovo io. Son sola colla madre inferma, e con pochissimi assegnamenti; ed ora avrei una buona occasione di maritarmi con una persona che, se vogliamo non pretenderebbe nemmeno gran dote, ma qualche cosa ci vuole, e non so da che principiare, e non ho cuore di andar lontana e di lasciar la madre in un letto.

GIU. Avete occasione di maritarvi?

AUR. Sì, certo. L'incontro non potrebbe esser migliore. Un giovane nobile, ricco, figlio solo, e che mi vuol bene, che mi adora.

GIU. Si può saper chi egli sia?

AUR. Se ve lo dico, non lo conoscerete. È forestiere, non lo conoscerete.

GIU. Ne tanti de' forestieri.

AUR. Questo non lo conoscerete, perché sta tutto il giorno da me, e non pratica con nessuno.

GIU. Che difficoltà potete avere a dirmi il suo nome?

AUR. Io non ho difficoltà nessuna, ve lo dirò; ma per amor del cielo, non parlate. Non vuol che si dica, perché se lo penetrasse suo padre, ci sarebbero de' guai.

GIU. Confidatevi meco, e non vi troverete scontenta.

AUR. Suo padre lo vorrebbe maritare a suo modo...

GIU. Ditemi il nome...

AUR. E mi ha detto che vi è di mezzo una certa persona, che vuole ingerirsi in quello che non le tocca, e vuol fargli delle prepotenze, e vuol obbligarlo con insolenza a sposar un'altra.

GIU. Questa persona vuol obbligarlo con insolenza?

AUR. Così m'ha detto, e credo sia una donna costei, e se sapessi chi è, vorrei insegnarle io, così giovane come sono, a non impicciarsi nei matrimoni, e a non pregiudicare le povere figlie, che cercano onestamente di collocarsi.

GIU. Alle corte, si può sapere chi è questo vostro amante?

AUR. Sì, ve lo dico liberamente. Si chiama don Alessandro degli Alessandri. Lo conoscete?

GIU. Lo conosco.

AUR. Lo conoscete! (con maraviglia)

GIU. Oh! se lo conosco, e conosco anche suo padre, e la sposa che gli fu destinata, ed anco quella persona che con prepotenza vuol obbligarlo a mantenere il suo primo impegno.

AUR. Oh capperi! Ho piacer che sappiate tutto. Raccontatemi. (si accosta colla sedia)

GIU. Vi dirò, prima di tutto, esser questo per l'appunto il motivo per cui ho desiderato parlarvi.

AUR. Buono! oh, adesso son quasi sicura di sortir l'intento, e di far star a dovere quella illustrissima signora che mi perseguita.

GIU. Vi dirò poi, che la sposa destinata a don Alessandro è donna Aspasia.

AUR. Oh! non mi fa paura.

GIU. Vi aggiungerò che don Sigismondo, padre di don Alessandro, ha data la parola da cavaliere; che il figlio l'ha confermata; che donna Aspasia è dama di qualità...

AUR. Ed io, che cosa sono? I danari non fanno la nobiltà. In ordine al sangue, io non la cedo a nessuno.

GIU. E vi dirò, per ultimo, che io sono quella persona, che non per prepotenza e per insolenza, ma per giustizia e per punto d'onore, intendo che don Alessandro abbia da sposar donn'Aspasia.

AUR. (Ci sono caduta io, non volendo). (si ritira colla sedia)

GIU. E voi, che cosa dite?

AUR. Dico, dico, che se non avevate altro da dirmi, potevate lasciarmi stare, e che questa non è la maniera. (mortificata)

GIU. Favorite di parlar nei termini.

AUR. E se la fortuna vuol aiutare una povera fanciulla civile, non è carità il pregiudicarla... (come sopra)

GIU. E non è giusto che una fanciulla civile...

AUR. Io non ho né parenti, né amici, e se perdo questa buona sorte, per me è una disperazione. (piangendo)

GIU. Temete voi di non maritarvi?

AUR. Senza dote chi volete voi che mi pigli? (come sopra)

GIU. E perché don Alessandro vi ha da sposar senza dote?

AUR. Perché mi vuol bene; e chi ama, non cerca interesse. (come sopra)

GIU. E che sarebbe di voi, se il padre di don Alessandro negasse di ricevervi in casa?

AUR. Ci darà il modo di vivere fuor di casa, e poi è vecchio, e probabilmente morirà prima di suo figlio. (arditamente)

GIU. Come! (alzandosi) Così parlate? Nutrite in seno tai sentimenti? Le vostre massime sono indegne del vostro sangue, e se la povertà dello stato non pregiudica la condizione, il mal talento fa torto alla nascita, e deturpa la nobiltà. Noi non ci regoliamo colle leggi della natura soltanto, ma con quelle della civil società e chi tenta usurpare ad un padre l'autorità, il diritto e la convenienza, è reo in faccia del cielo e nel concetto del mondo. Una giovane costumata dee domandare al cielo la sua fortuna, e non valersi de' mezzi illeciti per usurparla. Se a voi convenisse un tal matrimonio, non vi affatichereste per occultarlo. Le cose che si nascondono, non ponno essere che maliziose, e chi si procaccia un bene per via indiretta, non perde mai il rossore di averselo con ingiustizia acquistato. Per due ragioni avete da vergognarvi di un tal progetto; e per l'insulto che procurate ad un padre, e per il torto che promovete a una sposa. Di ciò aspettatevi la ricompensa che meritate. Nessuna colpa andò mai immune dal suo castigo. O rassegnatevi al dovere, alla ragione, alla convenienza; o preparatevi ad essere un'infelice, odiosa nella famiglia, criticata dal mondo, e abborrita un giorno per interesse da quello stesso che ora per acciecamento vi ama. Prendete le mie parole per un'ammonizione amorosa. Figuratevi che vi parli il cielo per bocca mia, abbandonate un disegno che vi fa torto, e preferite ad una seduttrice lusinga l'onestà e la ragione. Se vi mortifica lo stato vostro, fate uso della virtù, e prevaletevi dell'amicizia e della interessatezza di una dama d'onore, che non v'insulta con prepotenza, ma con amore vi parla, e a vostro pro vigorosamente s'impegna. (s'alza)

AUR. Ah! donna Giulia, ah! mia amorosissima amica, mi raccomando alla vostra bontà. Sono una povera figlia, sono nelle vostre braccia.

GIU. Sì, rasserenate il vostro spirito. Non vi abbandonerò mai, e penserò io a procacciarvi una conveniente fortuna.

AUR. Sì, donna Giulia, disponete di me come di cosa vostra.

GIU. Prima di tutto, promettetemi di licenziare immediatamente don Alessandro.

AUR. Subito ho da licenziarlo?

GIU. Sì, subito.

AUR. Aspetterò ch'egli venga da me, e gli dirò... davvero io non so come fare.

GIU. Vi compatisco. Se vien da voi, non avrete cuore di licenziarlo. Fate così, licenziatelo con un viglietto.

AUR. E come ho da fare a mandarglielo?

GIU. Scrivetelo qui da me, lasciatelo nelle mie mani, e penserò io a fare che gli pervenga.

AUR. Benissimo: farò tutto quello che voi volete. Perché mia madre non istia in pensiere, mandate subito un servitore.

GIU. Ora sono tutti impiegati. Non dee venire a prendervi don Ridolfo? Manderemo lui.

AUR. Sì, manderemo lui.

GIU. Favorite di venir meco a formare il viglietto che dovete scrivere a don Alessandro. Può essere ch'egli venga da me, e che glielo possa dare colle mie mani.

AUR. Io non so come concepirlo.

GIU. Se vi contentate, ve lo detterò io.

AUR. Sì, mi lascierò regolare da voi.

GIU. Andiamo. (partono)

 

 

 


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