Carlo Goldoni
Lo scozzese

ATTO TERZO

SCENA QUARTA   Donna Giulia e donna Aspasia

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SCENA QUARTA

 

Donna Giulia e donna Aspasia

 

ASP. Serva di donna Giulia.

GIU. Serva, donna Aspasia.

ASP. Che dite? Non vengo spesso ad incomodarvi?

GIU. Mi fate grazia. Comprendo dalla vostra sollecitudine la premura del vostro cuore.

ASP. Per chi?

GIU. Per don Alessandro.

ASP. Non ci penso nemmeno.

GIU. Su questo punto io non pretendo che mi diciate la verità.

ASP. Oh! ve la dico liberamente. Non ci penso.

GIU. Siete sdegnata con esso lui?

ASP. Sdegnata? perché? Perché ho da essere sdegnata? Perché si è invaghito di donna Aurelia, e passa tutte le ore con lei, e dice di volerla sposare? Io per me non ci penso. Rido di queste frottole; lascio che ogni uno si soddisfaccia, e non mi prendo verun fastidio.

GIU. (Ed io penso sia venuta qui per passione).

ASP. Credete voi che me ne dispiaccia?

GIU. Vi dirò, se fosse vero, sarebbe giusto che vi doleste...

ASP. Se fosse vero? Mi vorreste dare ad intendere che non sia vero? Lo so di certo, e so che voi lo sapete quanto lo so io; e mi maraviglio di voi, che me lo vogliate nascondere, e fate torto al vostro impegno ed alla nostra amicizia.

GIU. Vedete? Se non ci pensaste, non vi riscaldereste cotanto.

ASP. Oh! non ci penso. Ci ho gusto io; sposi pur donna Aurelia, che gli darà una buona dote, e il di lui padre sarà contento, e voi farete una bella figura in Napoli.

GIU. Donn'Aspasia, voi non mi conoscete.

ASP. Eh! vi conosco.

GIU. Mi credereste voi a parte di questi amori?

ASP. Un poco.

GIU. Voi mi offendete.

ASP. Se non si sapesse la verità...

GIU. No, non la sapete la verità. (con calore)

ASP. Donna Giulia, con permissione. (in atto di partire)

GIU. Andate via?

ASP. Io parlo placidamente; vedo che voi vi alterate, è meglio ch'io parta.

GIU. Amica, ci vorrebbe uno specchio, e vedreste chi si altera più di noi.

ASP. Come volete che io mi alteri, se non ci penso?

GIU. Eh! sì, lo vedo che non ci pensate.

ASP. Potete voi dire, ch'io sia stata mai innamorata di don Alessandro?

GIU. Io non lo posso dire, perché non lo so; ma so bene, che don Alessandro ha data a voi la parola, che voi ad esso l'avete data, che io ci sono di mezzo, e che queste nozze devono immancabilmente seguire.

ASP. A chi lo raccontate?

GIU. A voi.

ASP. A me? Povera donna Giulia! Andatelo a dire a donna Aurelia, che è stata oggi da voi, e che non si sa quando sia uscita di questa casa, e che può essere che ci sia ancora e che la tenghiate nascosta, e che mi vogliate dare ad intendere che la luna è caduta nel pozzo.

GIU. Io non dico bugie, signora. Donn'Aurelia è venuta da me, ed io l'ho mandata a chiamare, ed è qui: sì signora, è nell'appartamento terreno.

ASP. Oh! ci ho gusto, ci ho gusto. L'ho indovinata, ci ho gusto. (ridendo affettatamente)

GIU. E per qual fine credete voi che l'abbia fatta venir da me?

ASP. Oh! per prudenza, per compassione; perché è una povera figlia, senza dote. Io finalmente posso trovar di meglio; ella, poverina, ha bisogno di tutto... Brava donna Giulia, brava, fate bene a far delle opere di pietà. Ci ho gusto; in verità, ci ho gusto.

GIU. Leggete questo viglietto.

ASP. Eh! che non voglio legger viglietti.

GIU. Se non volete, lasciate. (lo ritira)

ASP. E che cosa c'è in quel viglietto? (fa conoscere la curiosità)

GIU. Leggetelo, e lo saprete.

ASP. Via, per farvi piacere. (lo prende, e legge)

GIU. (Ha più voglia ella di leggerlo, che io non aveva di darglielo).

ASP. Oh bene! oh brava! Ci ho gusto. L'ha licenziato dunque?

GIU. Sì, lo ha licenziato, e questa è opera mia, e a questo fine l'ho fatta venir da me, e non sarò quieta se non la vedrò collocata.

ASP. Lo sa ancora don Alessandro?

GIU. Sì, lo sa. Ha veduto il viglietto.

ASP. E che cosa ha detto?

GIU. Gli parve strano; ma poi...

ASP. Ma poi ci ha dovuto stare.

GIU. Per necessità, e per dovere.

ASP. Ci ho gusto, davvero, ci ho gusto. (ridendo)

GIU. Voi avete gusto di tutto.

ASP. Sì, ci ho un gusto pazzo. (come sopra)

GIU. Mi dispiace che tutto ciò vi sia venuto a notizia; ma poiché avevate saputo l'intrigo, è stato bene ch'io vi abbia manifestato lo scioglimento.

ASP. Non avrei dato questo piacere per cento doppie.

GIU. Non può negarsi, che don Alessandro non abbia usato un mal termine verso di voi.

ASP. Oh! non ci penso io.

GIU. Ma è stato un caso.

ASP. Sì, accidenti che nascono.

GIU. Vi posso assicurare, che è veramente pentito.

ASP. Poverino! è di buone viscere. (ironicamente)

GIU. E si chiamerà felicissimo, se gli perdonerete il trascorso.

ASP. Oh! gliel'ho perdonato.

GIU. Lo dite di cuore?

ASP. Sicuramente. (Maladetto!)

GIU. (Eh, ti conosco; non ti credo). Volete ch'io gli parli?

ASP. Parlategli. (con indifferenza)

GIU. Volete ch'io lo costringa a domandarvi perdono?

ASP. Non c'è questo bisogno; gli ho perdonato.

GIU. E circa alle vostre nozze?

ASP. Se il cielo vorrà, mi mariterò.

GIU. Con lui.

ASP. Con lui? Col diavolo, ma non con lui.

GIU. E dite che gli avete perdonato?

ASP. Sì, gli ho perdonato; ma non lo voglio vedere.

GIU. Bella maniera di perdonare.

ASP. Io l'intendo così questa volta.

GIU. Una delle due, donn'Aspasia, o ricever le scuse di don Alessandro, e dargli la mano di sposa, o metterlo in libertà, che si possa maritar con chi vuole.

ASP. Chi è che propone queste due condizioni?

GIU. Le propongo io.

ASP. Che autorità avete voi di obbligarmi o a sposarlo, o a metterlo in libertà?

GIU. Siccome ho trattato io queste nozze, intendo o che si concludano quanto prima, o che si sciolgano legalmente.

ASP. Voi che ci avete legati, voi con la vostra gran prudenza scioglieteci.

GIU. No, donn'Aspasia. Una vostra parola formò il legame, ed una parola vostra dee formare lo scioglimento.

ASP. Se non basta una delle parole, ne dirò dieci. Vi dirò che don Alessandro è un mal cavaliere, che non ha né amore, né fedeltà per nessuno, che non sa distinguere il grado e la condizione delle persone, che ha un cuor perfido e scellerato. Ne volete di più?

GIU. (Sì, ho capito). Conviene dunque che risolviate.

ASP. Ci giuoco io, ch'egli non avrà faccia di comparirmi dinanzi.

GIU. Chi sa che non lo vediate fra poco?

ASP. Povero lui.

GIU. Davvero?

ASP. Povero lui, se si lascia da me vedere.

GIU. Io vi consiglio sfuggir l'incontro. La bile potrebbe farvi del male.

ASP. Per me lo sfuggirò certamente. Ditegli voi, che non ardisca di essere dov'io sono.

GIU. Cara donna Aspasia, mi dispiacerebbe che l'incontro dovesse nascere in casa mia.

ASP. Per me, ne starò lontanissima.

GIU. Egli deve essere qui a momenti.

ASP. A momenti?

GIU. Sì, certo, l'aspetto a momenti.

ASP. E che cosa deve venire a fare da voi?

GIU. Dee qui venire con un notaro; onde se voi voleste sfuggir l'incontro...

ASP. A qual fine ha qui da venire con un notaro?

GIU. Voglio escir dall'impegno, in cui sono, con solennità e con decoro. Voglio che in atti notariali si stenda tutta la serie de' fatti. Voglio la rinunzia di donna Aurelia autenticata; voglio lo stesso per parte di don Alessandro; e colla stessa occasione farò seguire lo scioglimento delle vostre nozze.

ASP. Questo non si può fare senza di me. (con calore)

GIU. Ma voi non ci volete essere.

ASP. Sì, ci sarò: per questo motivo non ho difficoltà di esserci.

GIU. Ma non vorrei che nascesse poi qualche scandalo.

ASP. Cosa avete paura? Che lo ammazzi, che lo bastoni? Se lo strapazzerò ben bene, se lo avrà meritato.

GIU. (Chi non lo vede, che è innamorata?)

 

 

 


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