Carlo Goldoni
La donna sola

ATTO PRIMO

SCENA TERZA

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SCENA TERZA

 

Don Filiberto, don Claudio e la suddetta.

 

FIL.

Eccomi qui, signora.

BER.

Bravo, don Filiberto;

Bravo, bravo, don Claudio.

CLA.

Qual colpa, qual demerto,

Fe' sì che dalla villa partir volesse sola,

Senza dire agli amici nemmeno una parola?

FIL.

Perché non avvisarci di tal risoluzione?

BER.

Scusatemi, di grazia; vi dirò la ragione.

Prima saper dovete, che sia nel ben, nel male,

Mai non consiglio alcuno.

FIL.

Mal, perdonate, male.

Far sempre di sua testa non è la miglior scuola.

BER.

È ver, ma sono avvezza a consigliar me sola.

Così, com'io diceva, pensando a mio talento

Vidi che la campagna riuscivami un tormento;

E temendo gli amici mi avesser sconsigliata,

Senza dirlo a nessuno, sono in Milan tornata.

FIL.

Stupì ciascuno in fatti.

CLA.

Ciascun di ciò avvertito,

Dopo che voi partiste, si è dietro a voi partito.

BER.

Faceste ben, vi lodo, e vi ringrazio ancora.

Gli altri dove son eglino?

CLA.

Li rivedrete or ora.

FIL.

Di saper, di vedervi, ciascun è curiosissimo.

CLA.

Fatto avete buon viaggio?

BER.

Un viaggio felicissimo.

Cotanto mi premeva partir da quel villaggio,

Che mi riuscir piacevoli gl'incomodi del viaggio.

FIL.

Eppur quei pochi giorni, ch'ebbi l'onor anch'io

Di villeggiar con voi, mi parve, a parer mio,

Che tanto si brillasse, e tanto si godesse,

Che più per esser lieti bramar non si potesse.

CLA.

Don Lucio, don Agabito, don Pippo ed Isidoro,

Caratteri son tutti che vagliono un tesoro.

Uno vanaglorioso, un mesto ed un giocondo,

Un altro che fa il dotto, e non sa nulla al mondo,

Pare che espressamente uniti in compagnia

Fossero, per produrre lo spasso e l'allegria.

BER.

Sì, dite ver; s'avrebbono goduti mille mondi.

Giorni goder potevansi lietissimi, giocondi,

Se state non ci fossero nel nostro vicinato

Tante signore donne a fare il sindicato.

CLA.

Non venivano anch'esse a ridere con noi?

BER.

Veniano, sì signore, si divertiano; e poi?

E poi tornando a casa quest'era il loro uffizio,

Della conversazione dir male a precipizio.

Che dite della vedova che si scordò il marito?

Vi pare che in quest'anno fatt'abbia un bell'invito?

Come fa a mantenersi? l'entrate sue son note;

Crediam che in poco tempo consumerà la dote?

Talvolta in faccia mia vidi strizzarsi l'occhio

Aspasia con Celinda, e battersi il ginocchio.

Dissi non so che cosa, e intesi la Contessa

A dir piano ad Eufemia, ch'io fo la dottoressa.

Parlano per invidia, lo so, non v'è che dire;

Ma sia quel che si voglia, non le posso soffrire.

FIL.

Si prendono talvolta le cose in mala parte;

Talora un accidente si giudica per arte.

BER.

Ecco le vostre solite contraddizioni eterne.

Vendere non mi lascio lucciole per lanterne.

CLA.

Ma torneran le amiche alla città fra poco.

Dovrete rivederle in questo o in altro loco.

BER.

Venire in casa mia niuna sarà sì ardita

Ha da soffrir me sola chi è della mia partita.

Se voi, se altri si degnano venire ad onorarmi,

Di compagnia di donne non ha più da parlarmi.

FIL.

Si ha da servir voi sola?

BER.

Sì, questa è la mia brama.

FIL.

E in quanti s'ha a dividere la grazia di madama?

BER.

Distinguere conviene. Altro è conversazione,

Altro è quel che si chiama impegno di passione.

Spero nel primo caso non disgustare alcuno;

Nel secondo può darsi ch'io mi consacri ad uno. (guardando con arte tutti e due)

CLA.

Sarà ben fortunato chi avrà tal cuore in dono.

FIL.

Se troppo mi avanzassi, domandovi perdono.

Non chiederò chi sia l'avventuroso oggetto,

Bramo saper soltanto, se già l'avete in petto.

BER.

Forse sì, e forse no.

FIL.

Questo è un non dir niente.

CLA.

Anzi mi fa in quel forse pensar diversamente.

Guardate ove mi guida il cuor coi dubbi suoi:

Creder mi fa che in petto rinchiuda uno di noi.

BER.

(Oh, s'inganna davvero). (da sé)

FIL.

Di noi chi avrà tal merto?

BER.

Vorreste saper troppo, caro don Filiberto.

Sentite, in casa mia tutti vi bramo eguali;

Non voglio che vi siano nemici, né rivali.

Non vuò che alle mie spalle si fabbrichi un romanzo.

Oggi vi prego uniti di favorirmi a pranzo.

Poi giocheremo un poco, poscia in carrozza a spasso,

O andremo nel giardino a fare un po' di chiasso.

La sera alla commedia tutti nel mio palchetto;

Ma voglio che ci stiate sin l'ultimo balletto.

Non voglio che si giri qua e dalle signore;

Quando che si vien meco, non si va a far l'amore.

Parto per un momento. Or or ritorno qua.

Ho un affar che mi preme; vi lascio in libertà. (parte)

 

 

 


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