Carlo Goldoni
La donna sola

ATTO SECONDO

SCENA QUARTA

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SCENA QUARTA

 

Don Lucio,  poi donna Berenice.

 

LUC.

Eccolo il malcreato, parte così alla muta;

Va via per la sua strada, e nemmen mi saluta.

Non lo voglio vicino costui, quando si pranza;

Capace egli sarebbe d'usarmi un'increanza.

BER.

Compatite, don Lucio, s'io qui non venni in prima;

Nol feci per mancanza di rispetto, di stima.

Voi mi compatirete, cavalier generoso.

(Incensarlo conviene quest'uom vanaglorioso). (da sé)

LUC.

La vostra gentilezza mi obbliga estremamente.

Voi siete una signora dall'altre differente.

Soglion trattar le donne sovente con disprezzo;

Ma a certe scioccherie don Lucio non è avvezzo.

Si puote aver in petto della parzialità;

Ma è cosa che sta bene trattar con nobiltà.

BER.

Odio anch'io quei vivaci bellissimi talenti

Che han tutto il loro merito nel far gl'impertinenti.

Bella cosa il vedere la femmina ben nata

Coi giovani, coi vecchi, a far la spiritata!

Dare un urtone a questo, un pizzicotto a quello,

Far le preziose al brutto, far le civette al bello;

E intendono di esigere affetti e convenienze

A suono di disprezzi, a suon d'impertinenze.

LUC.

Oh, io ve lo protesto, non soffrirei d'intorno

Una indiscreta simile nemmeno un solo giorno.

BER.

Tutti, signor, non pensano come pensate voi.

Don Lucio è cavaliere: conosce i dritti suoi.

LUC.

(Si pavoneggia)

BER.

Da me si fa giustizia; e se mi onorerete,

Fra quanti mi frequentano, il vostro luogo avrete.

LUC.

Appunto son venuto per tempo a incomodarvi

Pria dell'ora appuntata; prima per ringraziarvi

Dell'onor che mi fate di esservi commensale,

Poi per saper se gli ospiti sono di grado eguale.

BER.

Oh signor, perdonate, al mio dover non manco;

Non esporrei don Lucio d'un ignobile al fianco.

LUC.

Dirò, non è ch'io sdegni pranzar coi cittadini,

Coi dottor, coi mercanti, se stan nei lor confini:

Ma trovansi di quelli che prendonsi licenza

Di trattar coi miei pari con troppa confidenza.

Voglio sfuggir gl'impegni, perciò v'interrogai.

BER.

Altri che cavalieri da me non vengon mai.

LUC.

Io tollerar non posso quelle conversazioni

Ove i plebei si ammettono con titol di buffoni.

Costoro impunemente, senza temer pericolo,

Fino il padron di casa por sogliono in ridicolo.

BER.

Voi avete pensieri sublimi e ragionati.

Così parlano gli uomini che son bene allevati.

LUC.

E se averò figliuoli, allor ch'io mi mariti,

Saran colle mie massime nell'animo nutriti.

BER.

Pensate di accasarvi?

LUC.

La convenienza il chiede.

Al feudo che mi onora, vuò provveder l'erede.

BER.

Lo trovaste il partito?

LUC.

Ancor non lo trovai.

BER.

Caro signor don Lucio, voi meritate assai.

Sarà cosa difficile trovare un parentado,

Che uguagli il vostro merito, e che vi torni a grado.

LUC.

Vi dirò per parlarvi con tutta confidenza,

Vorrei una che avesse il titol d'eccellenza.

Col grado della moglie unito al grado mio,

Avrei più facilmente dell'eccellenza anch'io.

BER.

Permettete che dicavi, signor, fra voi e me

Una cosa verissima. Già qui nessuno c'è.

Nobile siete certo, siete garbato, è vero,

Ma nato voi non siete figliuol d'un cavaliero.

E il fanatismo è invalso, in chi nobile è nato,

Che il sangue si consideri dal padre e dal casato.

Trattando in certe case, signor, chi vi assicura,

Che in campo non si metta di voi cotal freddura?

Quei che non posson spendere, come potete voi,

Ognor pongono in vista il sangue degli eroi;

Trattar non vi consiglio plebei nati dal fango,

Ma con persone nobili così di mezzo rango.

LUC.

Che? degno non son io d'ogni conversazione?

BER.

Sì, degnissimo siete; avete ogni ragione.

Ma pria di esser la coda di un corpo assai maggiore;

È meglio esser il capo d'un popolo minore.

LUC.

Non dite male in questo. E chi trattar dovria?

BER.

Signor, siete padrone ogni or di casa mia.

LUC.

Sì, Vi sono obbligato; con voi verrò a spassarmi.

Ma ve l'ho detto ancora, io penso a maritarmi.

BER.

Lo volete far presto?

LUC.

Più presto che potrò.

BER.

Non vorrete una vedova.

LUC.

Vedova? perché no?

Voi, donna Berenice, parlando colla stessa

Confidenza, con cui meco vi siete espressa,

Credo che non sareste per me tristo partito.

BER.

D'essere vostra moglie però non mi ho esibito.

LUC.

Mi credereste indegno?

BER.

Oh signor cosa dice?

Un cavalier suo pari? sarei troppo felice.

LUC.

Dunque risoluzione.

BER.

Ne parlerem fra poco.

Intanto non pensate d'andare in altro loco.

La mia conversazione dev'essere la sola

Ch'è da voi frequentata.

LUC.

Vi do la mia parola.

BER.

(Eccolo anch'ei fissato con tal speranza in petto). (da sé)

LUC.

(Almeno avrò una moglie che ha per me del rispetto). (da sé)

 

 

 


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