Carlo Goldoni
La donna sola

ATTO TERZO

SCENA OTTAVA

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SCENA OTTAVA

 

Don Filiberto, don Claudio e donna Berenice.

 

FIL.

No certo, non vi è caso. (volendo partire sdegnato)

BER.

Restate in grazia mia. (a don Filiberto)

FIL.

Voglio partir, vi dico. (come sopra)

BER.

Nemmeno in cortesia? (a don Filiberto)

FIL.

Don Claudio m'ha sfidato.

BER.

Egli è persona onesta.

Che sì, che se gli dico di non partire, ei resta?

CLA.

Ad onta d'ogni impegno, e del spiacer che or provo,

Se comanda la dama, io resto, e non mi movo.

BER.

Sentite? (a don Filiberto)

FIL.

E lo consente l'onor d'un cavaliere?

CLA.

A rispondervi ho tempo. Or faccio il mio dovere.

FIL.

(Vuol soverchiarmi, il vedo). (da sé)

BER.

(Perch'ei moderi il foco,

Altro non v'è rimedio che ingelosirlo un poco). (da sé)

FIL.

Foste il primo a sfidarmi.

CLA.

E di provarvi ho brama.

FIL.

Andiam.

CLA.

Vi sarà tempo; voglio obbedir la dama.

BER.

Tanta docilità merita affetto e stima.

FIL.

Via, per lui dichiaratevi; sposatelo alla prima.

BER.

Siete qui colla solita proposizione ardita.

I vostri matrimoni li fate in sulle dita.

Nessun sa quel ch'io pensi, nessun mi vede il core,

Ma affé, voi mi fareste venire il pizzicore.

FIL.

Io?

BER.

Che indiscreti! a forza voler che mi palesi!

CLA.

Signora, io son disposto a tollerar dei mesi.

FIL.

(Che ti venga la rabbia! eccolo l'indurito). (da sé)

BER.

Via, perché non si parte, signor inviperito? (a don Filiberto)

FIL.

Vorreste ch'io partissi per consolarvi seco?

BER.

Ecco qui, per la bile voi diveniste un cieco.

FIL.

Non è ver quel ch'io vedo?

BER.

Don Claudio, in cortesia,

Qual pretensione avete?

CLA.

Niuna, signora mia.

BER.

E voi? (a don Filiberto)

FIL.

Io ne ho di molte, e con ragion fondate.

BER.

Non so che dir, signore, mi par che delirate.

Quel che non chiede nulla, si ferma con bontà;

Quel che pretende tutto, m'insulta e se ne va.

Se fosse il nostro caso in un teatro pieno,

Dirian: quel che più vuole, è quel che merta meno.

CLA.

(Dello stil che ho fissato, ancora io non mi pento).

FIL.

(La flemma di don Claudio mi fa dello spavento).

BER.

(Se amici mi riuscisse farli ancor ritornare!)

CLA.

(Se ne anderà il furioso).

FIL.

(Non la vuò abbandonare).

BER.

Questo è quel che si acquista per usar distinzione.

FIL.

Per or non vi rispondo.

CLA.

Ma la dama ha ragione.

FIL.

Sì, ha ragione. (affettando placarsi)

BER.

Lo dite davvero, o per ischerno?

Via, placatevi un poco.

FIL.

Ma che tormento eterno!

BER.

Sapete voi, signori, ch'è l'onor mio in pericolo,

E che per cagion vostra sarò posta in ridicolo?

Ecco la gran mercede che alfine ho conseguita,

I miei due cavalieri m'hanno ben favorita.

Domani per Milano a dir si sentirà:

Ehi, donna Berenice più un cavalier non ha.

Eccoli disgustati, eccoli in un impegno;

E per chi? son io forse la causa dello sdegno?

Don Lucio è conosciuto, si sa ch'è uno stordito:

Vedeste in faccia vostra, se franca io l'ho smentito.

La gelosia che nasce fra voi per mio tormento,

Si appoggia, si sostiene, su qualche fondamento?

E se parlar potessi libera ad uno ad uno,

Puot'esser ch'io facessi vergognar qualcheduno.

Se ora di più non dico, se mi trattengo un poco,

È perché non vuò accrescere legna novelle al foco.

Via, se animati siete da spiriti onorati,

Lasciate ch'io vi possa veder pacificati.

Vedrete a sangue freddo, se il ver considerate,

Vedrete ingiustamente il torto che mi fate.

Puntigliarvi in mio danno? Di voi mi maraviglio.

Di rendermi obbligata ponetevi in puntiglio.

Vadan gli sdegni in bando. Ceda all'amor l'orgoglio.

Pace domando a entrambi, questa sol grazia io voglio.

Se il mio voler si sprezza, se il domandar non giova,

Venga l'amore almeno a far l'ultima prova.

E se saper vi cale a chi d'amor favello,

Dirò che chi m'insulta, sa di non esser quello.

Dirò che si lusinghi chi più non mi contrasta:

Che il mio dover conosco, che son chi sono, e basta.

FIL.

Degli equivoci detti la spiegazione aspetto.

BER.

Ma con l'armi alla mano.

FIL.

A voi tutto rimetto.

BER.

Dunque sperar io posso i miei desir felici.

Non mi lusingo invano di rivedervi amici.

Di voi chi sarà il primo a darmi un certo segno,

Che in grazia mia dal petto discaccisi lo sdegno?

FIL.

Che s'ha da far? chiedete.

CLA.

Invan ciò si domanda.

Tutto obbliar si deve, se la dama il comanda.

Porgetemi la mano. A lei rendo giustizia,

Nel ridonarvi intero l'amore e l'amicizia. (a don Filiberto)

FIL.

Sì, della dama in grazia, d'ogni livor si taccia.

Col titolo d'amico venite alle mie braccia. (a don Claudio)

(Spero di guadagnarla, se non ha l'alma ingrata). (da sé)

CLA.

(Spero col sagrifizio d'avermela obbligata). (da sé)

BER.

Oh cavalieri amabili, oh cavalier ben degni

D'aver della mia stima sincerissimi segni!

Torni il sereno al viso, torni il piacer qual fu.

Di quel ch'oggi è passato, non s'ha a parlar mai più.

Fatemi voi il piacere, don Filiberto mio,

Andate da mia madre, non ci posso andar io.

Ditele che desidero saper com'ella sta,

E che da voi son certa saper la verità.

FIL.

Vi servirò. (Ma intanto l'amico resta qui). (piano a donna Berenice)

BER.

Don Claudio, la memoria quest'oggi mi tradì

Mia cognata Lugrezia mandò per avvisarmi

Che sposa il primogenito. Con lei vuò consolarmi;

Ma a me tanto stucchevoli sono i discorsi suoi,

Che seco le mie parti vi supplico far voi.

CLA.

Subito, mia signora.

FIL.

Servirvi anch'io mi affretto.

BER.

Andate, e poi tornate, che tutti due vi aspetto.

CLA.

(L'arte seguir mi giova per conservarla amica). (da sé, indi parte)

FIL.

(Il moderar la bile costami gran fatica). (da sé, e parte)

BER.

Spero colla mia testa riunir gli amici miei.

Li voglio tutti uniti, li voglio tutti sei.

A vivere mi piace in buona società;

Per un se mi dichiaro, perduta è libertà.

Tener incatenati gli amici non pavento,

Se fossero sessanta, se fossero anche cento.

 



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