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ATTO TERZO
SCENA OTTAVA Il Cavaliere dando braccio a Dorotea e Pasquina, una per parte. Poi il Conte servendo Silvestra, e detti
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Il Cavaliere dando braccio a Dorotea e Pasquina, una per parte. Poi il Conte servendo Silvestra, e detti.
CAV. Eccomi qui, signore, eccomi in figura di Giano fra il mondo nuovo ed il mondo antico. (accennando la figlia e la madre)
DOROT. Questi spropositi io non li capisco.
PASQ. La minestra è in tavola. (con allegria)
COST. E dov'è il signor Conte?
CAV. Verrà ora Cupido con la sua Venere affumicata.
COST. Siete alle volte spiritoso un po' troppo.
FELIC. Eccolo, eccolo il signor Conte.
SILV. Siamo qui, siamo qui. Avete forse mormorato di noi?
CON. Sarebbe stata veramente una mormorazione contro la carità.
COST. Andiamo a tavola che le vivande si raffreddano.
FELIC. Distribuite i posti, signora Costanza.
CAV. Farò io, farò io. Qui la signora Silvestra. La sposa in capo di tavola. (la fa sedere sul mezzo)
CAV. Così mi pare, se non m'inganno. (guardando il Conte)
SILV. Eh furbacchiotto! (va a sedere nel mezzo)
CAV. Conte, venite qui. (lo chiama vicino alla signora Silvestra)
CON. Caro amico, andateci voi.
CAV. Eh via, che occorre nascondersi? Non facciamo scene. Questo è il vostro posto.
SILV. Via, Conte; già è tutt'uno. Dice bene: non occorre nascondersi. Venite appresso di me.
CON. Me lo comandate voi?
CON. Vado per ubbidirvi. (va a sedere alla sinistra di Silvestra)
SILV. Vi ringrazio, nipote; vedo che mi volete bene. (a Costanza)
CAV. Qui può venire la signora Costanza. (accennando il posto vicino al Conte)
SILV. No no, compatitemi, Cavaliere; il posto si deve dare alle forestiere. Vicino al Conte verrà la signora Dorotea. (Mia nipote è fanciulla, non istà bene presso di lui). (piano al Cavaliere)
CAV. Non siete fanciulla anche voi? (a Silvestra)
SILV. È vero, ma non lo sapete? Il Conte ed io saremo presto la stessa cosa.
CAV. Avete ragione. Favorisca qui la signora Dorotea, e vicina ad essa la sua figliuola. (Dorotea e Pasquina vanno a' posti che se gli sono assegnati)
FELIC. (È bellissima di questo signor Cavaliere. Dispone lui; pare lui il padrone di casa) (da sé)
CAV. Verrà qui la signora Costanza. (accennando il posto vicino a Silvestra)
SILV. No, signor Cavaliere. Siete poco pratico, a quel che io vedo; si devono disponere i commensali, uomo e donna.
CAV. Ci starò io dunque.
CAV. E qui verrà la signora Costanza. Ci può venire? (a Silvestra)
SILV. Via, presso di voi mi contento.
COST. Manco male, che la signora zia si contenta. (All'ultimo la vogliam veder bella). (siede vicina al Cavaliere)
CAV. Là il signor Leonardo, e colà la signora Felicita.
FELIC. Marito e moglie vicini?
LEON. Vi dispiace che io vi stia vicino? (a Felicita)
FELIC. No, anzi ne ho piacere grandissimo. (ironicamente)
LEON. Ci stiamo tanto poco vicini. Soffritemi per questa sera. (siede vicino a Costanza)
FELIC. Oh, sono avvezza a soffrirvi, ch'è un pezzo. (siede vicina a Leonardo)
CAV. (Principia a dispensar le vivande a tutti, e di quando in quando si cambiano le portate, e i Servitori i tondi, e si dà da bevere a chi ne vuole; all'ultimo si portano i frutti, e nel corso della tavola si fanno i seguenti discorsi fino all'arrivo del signor Luca)
PASQ. Fatemi dare della minestra. (a Dorotea)
DOROT. Favorite, signore, la mia figliuola. (al Cavaliere)
CAV. Eccola servita. (le presenta un tondo con della minestra)
CAV. Ne volete dell'altra?
PASQ. Sono tre giorni che da noi non si mangia minestra.
DOROT. (Sta zitta) (piano a Pasquina)
LEON. (Sentite? Per andar in maschera, a casa sua si digiuna). (piano a Felicita)
FELIC. (Eh, la signora Dorotea non è sola. Ve ne sono di quelle poche). (piano a Leonardo)
CAV. Non mangia la signora Silvestra?
SILV. Anz'io mangio più di tutti.
CAV. Perché?
SILV. Perché io mangio colla bocca e cogli occhi. (guardando il Conte)
CON. (Che tu possa diventar cieca). (da sé)
COST. È vero, signor Conte, ch'ella si vorrebbe fare lo sposo?
CON. Se quella che io desidero, mi volesse.
SILV. Sì, caro, quella che voi amate, arde e sospira per voi.
CON. Posso crederlo, signora Costanza?
COST. Sì, credetelo pure, è così senz'altro.
SILV. Sentite? Anche lei lo conferma.
FELIC. (Costanza è furba, l'equivoco va molto bene). (da sé)
COST. Ma quella che voi vorreste in isposa, e che non sarebbe lontana dall'accettarvi, non sa ancora ben chi voi siete.
SILV. Eh, so quanto basta; è un bel giovane, si vede ch'è nato bene, e non vo' cercar d'avvantaggio.
CAV. Perdonate, signora; vostra nipote ha più prudenza di voi. Le fanciulle non si maritano così alla cieca. Ella è interessata per voi, quanto per se medesima, e prima che la zia si mariti, vuol sapere precisamente qual sia lo sposo.
CON. La zia ha ragione, e la nipote non parla male. In Venezia sono conosciuto, ed i ricapiti che porto meco, ponno meglio giustificarmi. Eccoli, se la signora zia li desidera. (mostra alcuni fogli)
COST. Date qui, date qui; li leggerò io. Sono interessata moltissimo in quest'affare. (prende i fogli)
SILV. Sì, nipote, vi sono tanto obbligata, ma sentite: non istiamo tanto a sottilizzare. Se non vi è male, facilitiamo. (piano a Costanza, che senta anche il Cavaliere) Che dite voi, Cavaliere? (Costanza intanto ripassa i fogli piano)
CAV. Dite benissimo. (La sa lunga la signora Costanza, e questa vecchia sarà molto ben corbellata). (da sé)
PASQ. Non mi danno mai niente da mangiare.
CAV. Fate voi per la vostra figliuola. (a Dorotea)
DOROT. Aspetta; di questo piatto mi pare che nessuno ne voglia: mangiamocelo metà per una. (tira avanti di sé un piatto, e lo mangia con Pasquina)
LEON. (Hanno la zuppa quelle due donne). (a Felicita, piano)
FELIC. (Eh, voi non corbellate, mi pare). (a Leonardo, piano)