Carlo Goldoni
La donna volubile

L’AUTORE A CHI LEGGE

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L’AUTORE A CHI LEGGE

 

Dopo lunga remora di più e più mesi, riprendo ora la penna in mano per continuare la mia edizione. So quanto è stato mormorato di me per tal causa, e so quante favole sono state inventate. Corsi veramente un po’ troppo, promettendo nel primo mio Manifesto di dar terminata l’edizione di dieci Tomi in un anno: ciò non ostante, pochi mesi di più avrei speso nell’ultimarla, se cinque mesi continui non fossi stato malato: due in Modena e tre in Milano. Della malattia di Modena ho già parlato nel Tomo sesto, di questa di Milano parlerò ora a chi ella non fosse nota; non perché io abbia vanità di render pubbliche le menome cose che di bene o di male mi accadono, le quali niente interessano la curiosità de’ Lettori, ma solo per giustificare la mia condotta. Fu essa una malattia più di spirito che di corpo, prodotta da una incessante fatica, consistente in una diffusione di pessimi sughi in tutto il genere nervoso, con convulsioni, vigilie e debolezza di mente, a tal segno che non solo io mi trovava inabilitato allo scrivere, ma leggere io non poteva una lunga lettera. In tale stato vissi penando tutta l’estate, e debitore son io della riacquistata salute al dottissimo Dottor Baronio, Medico Milanese, non perché egli cercato abbia di guarirmi con medicamenti superflui o vani; ma perché conoscendo egli il mio male consistere principalmente nella fantasia, alterata dai disturbi dell’animo mio pur troppo al Mondo tutto palesi, ha trovato l’utile medicina delle parole, dei consigli e delle ragioni, la quale a poco a poco mi ha sollevato, e nello stato di prima la mente mia ha ricondotta. Ma che doveva io fare nell’autunno, quando mi trovai in istato di poter scrivere? Aveva l’obbligo di terminar l’Edizione: aveva quello di dar otto Commedie nuove alla Compagnia a cui scrivo: gli Associati non mi hanno dato denari per antecipazione: il Cavaliere che mi ha scritturato, di mese in mese somministravami anticipatamente il pattuito denaro. Gli Associati potevano senza danno differir il piacer di leggere; il Teatro all’incontro giornalmente pativa senza le produzioni novelle. In tale stato, in tale contingenza, se consultati avessi gli Associati medesimi, qual di loro avrebbemi animato ad abbandonar il Teatro, per terminar l’Edizione? Niuno certamente, se non se un qualche Libraio, per desiderio di ristamparla. Ora dunque, dopo essermi consigliato colla mia puntualità, col mio preciso dovere, chi saprà condannare la mia condotta? Di che sono io debitore ai Signori Associati? Che perdono essi per una dilazione di pochi mesi o di un anno? Ah sì, son debitore ad essi della sollecita amorosa cura, con cui desiderando le mie Commedie, mostrano più vivamente d’amarle. Ma questi mesi, ne’ quali invece di regolare e correggere le Commedie vecchie, ne ho fatte delle nuove, non sarà tempo perduto nemmen per essi. Terminata l’Edizione dei dieci Tomi (e forse fino ai dodici in Firenze allungata), si principierà una nuova Edizione in Venezia, a due tomi l’anno, di Commedie nell’Edizione Fiorentina non comprese, e si renderà in tal guisa più lungo il divertimento. Egli è vero che in quest’anno a causa delle malattie suddette, quantunque ad altro non mi sia applicato, cinque Commedie solo, in luogo delle otto promesse, mi riuscì di compire, ma spero poter negli anni successivi supplire, tanto più che la generosità di S.E. il Signor Antonio Vendramini mi ha accresciuto per gli anni avvenire dugento ducati all’anno, senza nemmeno che io mostrassi desiderarli. Ecco un altro fatto che sarà reputato superfluo di render pubblico in questi fogli, ma io sentomi mosso a farlo per dar gloria all’animo pio e generoso del Cavaliere, e per far al Mondo costare che mai non dovrò pentirmi dell’onore che ho di servirlo e che nuovamente ringraziar deggio chi n’è stato la causa.

Le parole dette sinora niente servono alla Commedia che seguita; ma che dovrò io dire sopra di essa? Una Donna volubile che nel giro di poche ore cambiasi più e più volte, sembrerà a qualcheduno pazza, e più che volubile. Veramente parlando, la volubilità per se stessa è una spezie di pazzia limitata, mentre la ragione suggerisce agli animi la costanza, e chi opera contro ragione suol dirsi pazzo. In tutte le cose vi è il più ed il meno. In un giorno una volubile si cambierà una volta: un’altra due e qualcheduna tre. Rosaura si cambia più volte ancora, ond’ella è una volubile eccedente, una volubile da Commedia. Per far rilevare un carattere sulle Scene, conviene necessariamente dipingerlo con i più forti e vivi colori. Alcuni caratteri si dipingono con poche azioni che lo dimostrano; ma la volubilità che consiste nella moltiplicazione degli atti opposti, non può in poche azioni consistere, e breve essendo il periodo della Commedia, conviene necessariamente far nascere in corto tempo, ciò che meglio starebbe, se in più giorni rappresentar si potesse.

Parmi che il celebre Monsieur Destouches, che occupadegno luogo fra i Comici Autori Franzesi, abbia fatto lo stesso nel suo Irresoluto, in cui Dorante si cambia forse più volte di quello si cambi nella mia Commedia Rosaura. Chi poi lo faccia con più ragione, non istà a me deciderlo, siccome non ardisco mettere quest’opera mia, ch’è forse delle inferiori, a fronte di quelle dell’egregio Scrittor Franzese. Tuttavolta, chi piacer avesse di confrontarle, e non intendesse la lingua, potrà leggere l’Irresoluto in lingua nostra tradotto, stampato in Milano per il..., Opera della vezzosa, erudita penna di una illustre Dama, che accoppiando alla grandezza del sangue il bel talento e il buon genio, ha arricchito il Teatro e la lingua nostra colla traduzione di tutte le Opere d’un sì accreditato Autore, il quale però nell’avvantaggio di essere tradotto da una sì nobil mano, deve soffrire, almeno presso di noi, di cedere alle novelle grazie, delle quali l’opera sua viene ora accresciuta.

 

 

 


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