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SCENA PRIMA
Ottavio leggendo un libro, Florindo e Leandro giuocando a dama. Lelio a sedere.
LEL. Amici, come va la partita?
FLOR. In questo punto sono arrivato a dama.
LEAN. Ed io non tarderò ad arrivarvi.
LEL. La vostra è una partita di picca.
FLOR. Sì; noi giochiamo veramente di picca. Si disputa l'onore, non l'interesse.
LEL. Eh, già si sa. Qui non si giuoca per interesse.
FLOR. E in questa maniera sussiste la nostra compagnia; altrimenti, o questa si saria disfatta, o si sarebbe alcun di noi rovinato. Dama. (giocando)
LEL. Un'altra cosa bellissima contribuisce alla nostra sussistenza.
FLOR. Sì, quella di non voler ammetter le donne.
LEL. Ed esse hanno di ciò il maggior veleno del mondo.
FLOR. Quello che più loro dà pena...
FLOR. Perché?
LEAN. Perché non avete mangiato questa.
FLOR. È vero. Avete ragione. Solamente per aver nominate le donne, ho perso il giuoco.
LEL. Se venissero qui, ci farebbero perder la testa.
FLOR. Spero ancora di rimettere la partita. (giocando)
LEAN. Fatelo discorrere, che mi date piacere. Altrimenti non posso vincere.
FLOR. Parlate, parlate, non mi confondo. (a Lelio)
LEL. Che cosa dicevate voi che patiscono più di tutto le nostre donne?
FLOR. Quel che più le tormenta, è la curiosità che hanno di sapere quello che noi facciamo in queste nostre camere.
LEL. Sì, è vero. Eleonora mia moglie tutto dì mi tormenta su questo punto, e per quanto le dica non si fa niente, non lo vuol credere.
FLOR. Lo stesso accade a me colla signora Rosaura, che deve esser mia sposa: non mi lascia aver bene. La soffro perché l'amo, ma vi assicuro che mi tormenta.
LEL. Io, che sono poco paziente, ho dato più volte nelle furie con mia moglie, e ho paura, se seguita, di far peggio.
LEAN. Dama. Una gran cosa con queste donne! Vogliono saper tutto.
FLOR. È vero, fanno perdere la pazienza. Bisogna essere innamorato, come sono io, per soffrirle.
OTT. Amici, sento un proposito che mi tocca, e non posso far a meno d'entrarvi. (alzandosi dal suo posto)
LEL. Siete anche voi tormentato dalla signora Beatrice?
OTT. Domandatelo all'amico Florindo. Mia moglie non tace mai.
FLOR. Sì, madre e figlia ci tormentano a campane doppie.
OTT. Rosaura mia figlia lo fa anche con qualche moderazione; ma Beatrice mia moglie è un diavolo.
LEL. Darete anche voi nelle impazienze, nelle quali sono forzato a dar io.
OTT. No, amico. Non do in impazienze. Non mi altero; non mi scaldo il sangue. Non voglio che le pazzie della moglie pregiudichino la mia salute.
OTT. Si fa tutto quel che si vuole.
FLOR. Non lo sapete? Il signor Ottavio è filosofo.
LEL. Non basta esser filosofo per soffrire una moglie cattiva, bisogna essere stoico.
OTT. Quando dite stoico, che cosa vi credete di dire?
OTT. Poveri filosofi! Come vengono strapazzati! Gli stoici, che ponevano la vera felicità nell'esercizio della virtù, sono chiamati stolidi!
LEL. Io non so di filosofia. Stimo più questo poco di quiete di tutte le massime di Platone.
FLOR. (Alzandosi) Ciascheduno in questa nostra amichevole società soddisfa il proprio genio, e passa il tempo tranquillamente in tutto ciò che onestamente gli dà piacere. Io ho la mia passione per le operazioni ingegnose. Giuoco volentieri a quei giuochi dove non ha parte alcuna la sorte. Mi diverte assaissimo la matematica, la geometria, il disegno, e qui mi ristoro, se è la mia bella sdegnata. Mi consolo assai più, se ella mi ha fatto partir contento. Perdonate, signor Ottavio, se così parla uno che deve essere lo sposo di vostra figlia. Già lo sapete, tutte le donne hanno de' momenti buoni e de' momenti cattivi.
OTT. Sì, e bisogna esser filosofi, come sono io, per burlarsi di loro.
LEL. Cari amici, se volete parlar di filosofia, anderò a sedere in un'altra camera. Io vengo qui a sollevarmi un poco, dopo gli imbarazzi delle mie cariche e della mia famiglia. E quel poco che io ci sto, ho piacere di divertirmi.
FLOR. Che cosa vi vorrebbe per divertirvi?
LEL. Un buon pranzo, una buona cena.
FLOR. Volete che questa sera ceniamo in compagnia?
LEL. Per me ci sono. Che dice il signor filosofo?
OTT. La filosofia non è nemica dell'onesto divertimento.
FLOR. Ecco il signor Pantalone. Pregheremo lui, che ci faccia preparare.
LEL. Gran galantuomo è questo signor Pantalone! Egli ha eretto questo nostro divertimento; egli regola assai bene la nostra compagnia; ci dà ben da mangiare, e credo vi rimetta del suo.
FLOR. Gode assaissimo di questa compagnia da lui medesimo procurata.
LEL. E non vuol donne, e fa benissimo!
OTT. Così possiamo godere la nostra pienissima libertà.