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Arlecchino e dette.
ARL. Presto. Andemo a tavola, che l'è qua el padron.
ARL. Oh bella! Al logo solito.
BEAT. Ma che cosa fanno in quel maladetto ridotto?
ARL. Domandeghelo a lu, che lo saverì.
BEAT. Vieni qui, senti. (ad Arlecchino)
ARL. Son qua.
BEAT. (Giuocano?) (piano ad Arlecchino)
BEAT. (L'ho detto io). (da sé)
ROS. (Dimmi, si divertono con le donne?) (piano ad Arlecchino)
ROS. (Ah, il cuore me l'ha detto). (da sé)
ELEON. Galantuomo. (ad Arlecchino)
ELEON. (È vero che fanno il lapis philosophorum?) (piano)
ELEON. (Eh, io lo so). (da sé)
COR. Dimmi, Arlecchino.
COR. (Lo cavano poi questo tesoro?) (piano ad Arlecchino)
COR. (Dunque ho detto la verità). (da sé)
ARL. (A dir sempre de sì, se dà gusto a tutti). (da sé)
ELEON. Dite, Arlecchino. Mio marito l'avete veduto?
ARL. Siora sì. (Sempre de sì, finché vivo). (da sé, e parte)
ELEON. Vado subito anch'io. Amiche, se saprò qualche altra cosa, verrò subito a confidarvela.
BEAT. Ma quella del lapis non è poi vera.
ELEON. Non è vera? Anzi verissima: dalla sarta vi era il fratello del garzone del muratore, e ha detto che il padrone di suo fratello è andato nel casino a fare dei fornelli, e poi hanno fatto una provvisione di tanti vetri; e ha detto il compare della sarta, che coi fornelli e coi vetri si fa il lapis philosophorum. E la sarta è una donna che se ne intende; e io, quando dico una cosa, non fallo mai. (parte)
COR. Credetemi, non sa quello che si dica. Coi fornelli si cucina anche da mangiare, e coi vetri si dà da bere. Lo zoppo mi ha detto che cavano una fossa, e ho sentito dire da tanti, che vicino a quella casa vi sia un tesoro, e senz'altro lo cavano; e io, quando parlo, parlo con fondamento, e dico sempre la verità. (parte)
BEAT. Io credo che non sappiano niente affatto.
ROS. Vogliono che sia tutto quello che si figurano.
BEAT. Mi par di vederli con le carte in mano.
ROS. Ed io son tanto certa che fanno all'amore, quanto son certa d'aver da morire. (parte)