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Rosaura in zendale alla bolognese, Arlecchino con lanterna da mano, Florindo ritirato.
ROS. Vieni con me, non aver paura.
ARL. Ma mi, siora, in sta sorte de contrabbandi me trema le budelle in corpo.
ROS. Insegnami solamente dov'è la porta di quella casa che già ti ho detto.
ROS. Tu ci sarai stato dentro più volte.
ARL. Sigura. Ghe vago squasi ogni dì.
ARL. Oh, siora no; donne femene no ghe ne va.
ROS. È notte; non si sente nessuno. Possiamo entrare con libertà; e poi sappi che vi è mia madre, e vi posso andare ancor io.
ARL. Se batto, i vien a avrir, i me vede con una donna, e i me regala de bastonade.
ARL. Avì le chiave? Chi ve l'ha dade?
ROS. Me le ha date mio padre: eccole. Apriremo da noi, senza che nessuno se ne accorga. Vi è niente colà da nascondersi?
ARL. Gh'è un camerin... ma... no l'è mo a proposito.
ARL. Corpo del diavolo... no vorria...
ARL. Basta. Avro, e me la svigno2. (mette le chiavi nell'uscio)
FLOR. Lascia a me queste chiavi. (le prende)
ARL. La se comoda, che l'è padron.
ROS. Come! Così mantenete la vostra parola? Mi promettete di non venire, e poi venite al casino?
FLOR. Ah ingrata! Così voi mi serbate la fede? Mi carpite le chiavi, mi giurate di custodirle, e le impiegate in tal uso?
ROS. Vi ho promesso che escite non sarebbero dalle mie mani.
FLOR. Promesse accorte, con animo d'ingannare. Ma chi non sa che sia fede, non merita che a lui si serbi. Giacché voi mi avete insegnato ad operare a capriccio, mi valerò de' vostri barbari documenti; ed ora sugli occhi vostri anderò in quel luogo medesimo, dove non volevate ch'io andassi.
FLOR. Tacete; se non mi amate, non meritate di essere compatita; e se mi amate, vi serva di regola e di castigo la pena che giustamente provate. (apre ed entra)