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Arlecchino dalla porta, con un tondo in mano con delle paste sfogliate; e dette.
ARL. (Entrando s'incontra in Beatrice, e resta sospeso)
BEAT. Zitto. (ad Arlecchino)
ARL. Se i ve vede, poverette vu.
COR. Bada bene, non dir nulla.
ARL. Per mi no parlo. Vag a metter via ste bagattelle, e po torno.
COR. Che cosa sono?
ARL. Quattro sfoiade: i mi incerti.
COR. Lascia un po' vedere. (ne prende una)
BEAT. Lascia sentire. (ne prende un'altra)
ELEON. Con licenza. (ne prende anch'essa una)
ROS. Ed io niente?
ARL. Se la comanda, la toga questa.
ROS. Per sentirla. (prende la pasta sfogliata)
ARL. Cussì ho destrigà el piatto presto. Torno a oselar4.
COR. Portami qualche cosa di buono.
ARL. Andè via, siora, che se i ve vede...
ARL. Non parlo. (entra e chiude la porta)
BEAT. Andiamo via, prima d'essere scoperte.
ROS. Andiamo, che il signor Florindo non abbia motivo un'altra volta di rimproverarmi.
COR. Un'occhiatina, e vengo. (corre alla porta)
BEAT. Che cosa c'è di bello? (torna verso la porta)
ELEON. Il deser? (verso la porta)
COR. Bello, di cristallo, coi fiori. Pare un giardino.
ROS. Ancor io. (tutte s'accostano e sforzano per vedere, onde si spalanca la porta ed escono)