Carlo Goldoni
L'amante di sé medesimo

ATTO PRIMO

SCENA TERZA

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SCENA TERZA

 

Il Conte e Frugnolo.

 

CON.

(Gran cosa! tutto il mondo vorrebbe maritarmi

Ci penserò ben bene innanzi di legarmi). (da sé)

FRU.

(Non la finisce mai di ber la cioccolata?)

CON.

(Perché non può trattarsi la donna maritata?

Servirla onestamente? Oh madama non è

Nata una gentildonna; che cosa importa a me?)

Tieni. (rimette la chicchera sul tondino)

FRU.

Con sua licenza. (vuol partire)

CON.

Vien qui, non aver fretta.

Voglio discorrer teco.

FRU.

Il padrone mi aspetta.

CON.

Via, tieni un testoncello, e non andar sì presto.

FRU.

Ecco, metto giù il tondo, e fin che vuole, io resto.

CON.

Dimmi: È ver che don Mauro ha della inclinazione

Per la marchesa Ippolita?

FRU.

Lo fa per compassione

La poverina è vedova, ed ha, se non m'inganno,

Di rendita sicura seimila scudi all'anno.

È imbrogliata, meschina, con tante facoltà;

E farle il mio padrone vorria la carità.

Ma per quel ch'io capisco dagli andamenti sui,

La signora Marchesa fatta non è per lui.

Il lor temperamento non si assomiglia un pelo:

Ella ha il foco negli occhi, ei nelle membra il gelo.

Quando li vedo uniti, parmi vedere al paro

Con il mese d'Agosto il mese di Gennaro.

Egli cammina adagio, nel dir non ha mai fretta;

Ella cammina e parla, che par una saetta.

Sfogarsi la Marchesa, gridar può quanto vuole,

Innanzi ch'egli arrivi a dir quattro parole.

CON.

Oh, se foss'io, vorrei farle arricciar il naso.

FRU.

Eppure, signor Conte, sarebbe il di lei caso.

CON.

Per me? Frugnolo caro tu sei male avvertito.

Voglio godere il mondo. Per or non mi marito.

FRU.

No, davvero? Perdoni il mio parlar da strambo;

Eppur s'intese dire, che si sperava un ambo

Fra lei e donna Bianca, nipote del padrone.

CON.

È ver, ma si è mandata a monte l'estrazione.

Al lotto delle donne la sorte spesso varia,

Quando che non si pigliano i numeri per aria.

Conosci tu la moglie del commissario?

FRU.

Certo.

Che giovine di garbo, che giovine di merto!

Quando così per grazia mi misero prigione,

Mi facea la mattina portar la colazione.

E quanto ben mi ha fatto, signore, e quante notti

Andar mi fece in a farle i papigliotti!

Mi aveano processato; ella il marito istesso

Obbligò a lacerare le carte del processo.

E posso dir che, in grazia di sua protezione,

Mi fecero innocente uscir dalla prigione.

CON.

Cosa avevi tu fatto?

FRU.

Cose di gioventù.

Portavo lo stiletto, ma non lo porto più.

CON.

A madama Graziosa mandai certa proposta,

Finora attesi in vano il messo e la risposta.

A te darebbe l'animo? So che un grand'uom tu sei.

FRU.

Non ho difficoltà. Per me la servirei;

Però al commissariato andar non mi è permesso,

Perché pagar mi resta le spese del processo.

È ver che i suoi diritti donommi il commissario;

Ma quel che a lui si aspetta, pretende l'attuario.

Potrei con uno scudo sperar di liberarmi,

Ma se non ho lo scudo, non posso assicurarmi.

CON.

Galantuom, v'ho capito. Eccovi bello e nuovo

Uno scudo di peso.

FRU.

Subito andar mi provo.

CON.

Portati bene, e bada condurti con destrezza.

FRU.

Aprir con queste chiavi m'impegno una fortezza. (accenna uno scudo)

Se torno colle nuove d'uom valoroso e scaltro,

Meriterem lo scudo?

CON.

Te ne prometto un altro.

FRU.

(Vada due scudi al sette. Va paroli sul tre.

Sette a levar sull'asso. Sedici scudi a me). (da sé, come se giocasse)

(Va tutto alla corona. Tutto? non son sì tondo).

CON.

Ecco, tu pensi al gioco.

FRU.

Oh, non ho un vizio al mondo. (parte)

 

 

 


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