Carlo Goldoni
I due gemelli veneziani

ATTO PRIMO

SCENA OTTAVA

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SCENA OTTAVA

 

Rosaura, poi Pancrazio

 

ROS. Poter del mondo! che uomo improprio! che giovine sfacciato! non mi sarei mai creduta una tale temerità in colui, che sembra a prima vista uno sciocco. Ma appunto questi guarda basso sono quelli che ingannano più degli altri. Noi altre donne mai non ci dovremmo trovare da sola a solo cogli uomini. Sempre s’incontra qualche pericolo. Me l’ha detto tante volte quel buon uomo del signor Pancrazio... Ma eccolo che viene; veramente nel di lui volto si vede a chiare note la bontà del suo cuore.

PANC. Il ciel vi guardi, fanciulla; che avete, che vi veggo così alterata?

ROS. Oh, signor Pancrazio, se sapeste cosa mi è accaduto!

PANC. Che mai, che mai! Palesatemi il tutto con libertà. Già in me vi potete sicuramente fidare.

ROS. Ve lo dirò, signore: sapete già che mio padre mi ha destinata in isposa ad un Veneziano.

PANC. (Così non lo sapessi!) (da sé)

ROS. Saprete ancora ch’egli, partitosi da Bergamo, oggi è arrivato in questa città.

PANC. (Così si fosse rotto l’osso del collo). (da sé)

ROS. Ora sappiate che costui è uno sciocco, ma però temerario.

PANC. La temerità è propria di gente sciocca.

ROS. Mio padre mi fece subito abboccare con esso lui.

PANC. Male.

ROS. Poi seco lui ancora mi lasciò sola.

PANC. Peggio.

ROS. Ed egli...

PANC. Già me l’immagino.

ROS. Ed egli con parole indecenti...

PANC. Ed anco tenere, non è così?

ROS. Sì, signore.

PANC. E con qualche atto immodesto?

ROS. Per l’appunto.

PANC. Seguite; che avvenne?

ROS. Mi provocò a segno ch’io gli diedi uno schiaffo.

PANC. Oh, brava, oh saggia, oh esemplare fanciulla! oh degna d’esser descritta nel catalogo dell’eroine del nostro secolo! Non ho lingua bastante per lodare la savia risoluzione del vostro spirito. Così si trattano cotesti insolenti; così si mortificano questi irriverenti del sesso. Oh mano eroica, oh mano illustre e gloriosa! Lasciate che per riverenza ed ammirazione imprima un bacio su quella mano, che merita gli applausi del mondo tutto. (le prende la mano, e la bacia teneramente)

ROS. Merita dunque la vostra approvazione quest’atto del mio risentimento?

PANC. Pensate! e in che modo! Al giorno d’oggi è un prodigio trovar una giovane, che per modestia dia uno schiaffo ad un amante. Seguite, seguitebel costume. Avvezzatevi a disprezzare la gioventù, dalla quale non potete sperare che mali esempi, infedeltà e strapazzi; e se mai il vostro cuore risolvere si volesse ad amare, cercate un oggetto degno del vostro amore.

ROS. Ma dove ed in chi dovrei cercarlo?

PANC. Oh, Rosaura, per ora non posso dirvi di più. Penso a voi ed al vostro bene più di quello che vi credete; basta, lo conoscerete.

ROS. Signor Pancrazio, sono certa della vostra bontà. Siete troppo interessato per i vantaggi di questa casa, per non isperare da voi ogni più segnalato favore. Però, se devo dirvi la verità, il signor Zanetto non mi dispiace, e se non fosse così sfacciato, forse forse...

PANC. Oibò, oibò, chiudete l’incauto labbro, e non oscurate con sentimentivili l’eroica impresa della vostra virtù. Via, odiate anzi un oggetto così abbominevole. Chi non sa esser modesto, mostra di non aver la ragione che lo governi. Il vostro merito d’altro oggetto più nobile vi rende degna. Non fate mai più ch’io vi senta a pronunziare quel nome.

ROS. Dite bene, signor Pancrazio. Perdonate la mia debolezza. Vado a dire a mio padre che non lo voglio.

PANC. Brava; ora vi lodo. Aggiungerò alle vostre le mie ragioni.

ROS. Di grazia, non mi abbandonate. (Che uomo dabbene, che uomo saggio ch’è questo! Felice mio padre, che l’ha in sua casa! felice me, che sono ammaestrata da’ suoi consigli!) (da sé, e parte)

 

 

 


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