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Zanetto, poi Beatrice col Servo
ZAN. Cancaro! Aveva fatto una bella cossa, se no capitava sto galantomo. Matrimonio.. peso qua, peso là, peso alla borsa, peso alla testa... Donne... sirene, strighe, diavoli. Ih, che imbroggio maledetto.
BEAT. Oh me felice! Ecco il mio bene, ecco il mio sposo. Quando siete arrivato? (a Zanetto, credendolo Tonino)
BEAT. Come! Non son io la vostra sposa? Non siete voi qui venuto per stabilire i nostri sponsali?
ZAN. Siben: la caena, come i galiotti. Brava, za so tutto.
BEAT. Che catena? Che dite di catena? Non vi ricordate delle vostre promesse?
BEAT. Del matrimonio.
ZAN. Seguro, el matrimonio. Peso alla borsa e peso alla testa.
BEAT. Eh via, guardatemi: non vi burlate di me, che mi fate morire.
ZAN. (Propriamente se ghe vede el fuogo in quei occhi). (da sé)
BEAT. Dubitate forse di me? Uditemi, che vi renderò soddisfatto.
ZAN. Serrè quella bocca, quella scatola de velen, che no vorave che me arrivessi a tossegar42 el cuor.
BEAT. Oimè! Che parlare è il vostro? Voi mi fate arrossire senza colpa.
ZAN. Vela là, che la vien rossa. Lo so che sè una striga.
BEAT. Son disperata. Ascoltatemi per pietà. (s’accosta a Zanetto)
ZAN. Via furia, che vien per lacerarme. (fuggendo da lei)
BEAT. Ma cieli! Che mai vi ho fatto? (s’accosta di nuovo)
ZAN. Via diavolo, che me voria strassinar all’inferno. (parte)