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COL. Signor padrone, ecco qui il signor Zanetto. Io mi affatico a persuaderlo a venir in casa, ed egli non vuole.
DOTT. Eh via, signor Zanetto, vada in casa, che mia figlia l’aspetta.
TON. (Bravo, bravo, bravo). (da sé)
DOTT. Questa sua renitenza è un torto manifesto, che lei fa a quella buona ragazza.
TON. (Megio, megio, megio). (da sé)
DOTT. Vuole che venga lei sopra della strada?
TON. Oibò, più tosto anderò in casa.
DOTT. Oh via dunque, da bravo.
DOTT. Padrone di giorno, di notte, a tutte le ore.
DOTT. Per il signor Zanetto porta spalancata.
TON. Ma per mi solo?
DOTT. Per lei solo, sicuramente.
TON. E per altri no certo?
DOTT. Se non fosse per qualche amico di casa.
TON. Eh za, se gh’intende. Vago.
TON. E posso andar, star e tornar?...
DOTT. Quando ella vuole.
TON. Cavarme zoso49 e despogiarme?...
TON. Ho inteso tutto. Sioria vostra. (va per entrare in casa)
DOTT. Signor Zanetto, una parola in grazia.
TON. (Stè a veder, ch’el vol la bonaman). (da sé) Comandè.
DOTT. Perdoni la confidenza. Cos’ha di bello in quel bauletto?
TON. (Ah ah, l’amigo ha lumà50 le zogie). (da sé) Certe bagatelle. Certe zogiette.
DOTT. Buono, buono. Mia figlia sarà tutta contenta.
TON. (Oh che Dottor bon stomego51). (da sé) Basta, se l’averà giudizio, le sarà soe. (In tel comio52) (da sé)
DOTT. Veramente colle donne bisogna essere liberale.
TON. Compare, son galantomo. Non averè da dolerve de mi né vu, né vostra fia.
DOTT. Di ciò ne sono più che certo.
COL. Via, finitela, andate una volta. (a Tonino)
TON. Bravo. Cussì me piase. (Questo xe un pare de garbo. Lori tende alle zogie, e mi spero cavarme dai freschi con un per de lirazze). (da sé, ed entra in casa del Dottore)