Carlo Goldoni
I due gemelli veneziani

ATTO TERZO

SCENA DICIANNOVESIMA

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SCENA DICIANNOVESIMA

 

Tonino, poi Colombina di casa.

 

TON. Schiavo, amigo. Vardè quando che i dise dei accidenti del mondo! Se pol dar? Mio fradello xe in Verona e no se semo visti. Uno xe tolto per l’altro, e nasce mille imbrogi in t’un zorno. Adesso intendo el negozio delle zogie e dei bezzi; quell’Arlecchin sarà servitor de mio fradello, e quella roba doveva esser soa. Se saveva che i giera de mio fradello, no ghe li dava indrio104. Quanto che pagherave de veder sto mio fradello! Ma basta, anderò tanto zirando, fina che el troverò.

COL. Sentite quella pettegola di Rosaura, come parla male del signor Zanetto; mi viene una rabbia, che non la posso soffrire.

TON. Coss’è, fia105, che ve vedo cussì scalmanada106? Coss’è stà?

COL. Se sapeste, signore, mi riscaldo per causa vostra.

TON. Per causa mia? Ve son ben obbligà: mo per che motivo?

COL. Perché quella presuntuosa di Rosaura, credendo di essere una gran signora, tratta tutti male.

TON. De mi la deve dir cossazze107.

COL. Ed in che modo! E perché io ho prese le vostre parti, ed ho parlato in vostra difesa, ha principiato a strapazzarmi, come se fossi una bestia. Pettegola, sfacciata: se non si sapesse chi è, la compatirei.

TON. Mo no xela fia del sior Dottor?

COL. Eh! il malanno che la colga. È una venuta di casa del diavolo; trovata per le strade da un pellegrino.

TON. Ma come? Se sior Dottor dise che la xe so fia?

COL. Perché ancor egli è un vecchio birbone; lo dice per rubare un’eredità.

TON. (Eh, l’ho ditto che quel Dottor xe un poco de bon). (da sé) Donca siora Rosaura no se sa de chi la sia fia?

COL. Non si sa e non si saprà mai.

TON. Quanto xe che la passa per fia del Dottor?

COL. L’ebbe in fasce da bambina quella bella gioja.

TON. Quanti anni ghaverala?

COL. Lei dice che n’ha ventuno; ma credo non conti quelli della balia.

TON. No la pol gnanca aver de più. Diseme, fia; sto pellegrin da dove vegnivelo?

COL. Da Venezia.

TON. E dove alo trovà quella putela108?

COL. Dicono alle basse di Caldiera, tra Vicenza e Verona.

TON. Gierela in fasse?

COL. Sicuro, in fasce.

TON. L’aveu viste vu quelle fasse?

COL. Il signor Dottore mi pare che le conservi; ma io non le ho vedute.

TON. Ma sto pellegrin come l’avevelo abua? Gierela so fia? Cossa ghavevela nome?

COL. Non era sua figlia; ma la trovò sulla strada, dove gli assassini avevano svaligiati alcuni passeggieri, e questa bambina rimase colà viva per accidente. Il nome poi né pur egli lo sapeva, ed il signor Dottore le impose quello di Rosaura.

TON. (Oh questa è bella! Stè a veder che la xe Flaminia mia sorella, giusto persa tra Vicenza e Verona, quando xe stà sassinà la mia povera mare, che la menava a Bergamo). (da sé)

COL. (Che diavolo dice tra sé?) (da sé)

TON. Saveu che ghe fusse in te le fasse una medaggia col retratto de do teste?

COL. Mi pare di averlo sentito dire. Ma perché mi fate tante interrogazioni?

TON. Basta... lo saverè... (Questa xe mia sorella senz’altro. Cielo, te ringrazio. Vardè che caso! Vardè che accidente! Do fradei! Una sorella! Tutti qua! Tutti insieme! El par un accidente da commedia). (da sé)

COL. (Sta a vedere che costei si scopre figlia di qualche signor davvero). (da sé) Signore, se mai la signora Rosaura fosse qualche cosa di buono, avvertite a non dirle che ho sparlato di lei, per amor del cielo.

TON. No no, fia, no ve dubitè. Za so che el mestier de vualtre cameriere xe dir mal delle patrone, e che ve contenteressi de zunar pan e acqua, più tosto che lasar un zorno de mormorar. (parte)

 





p. -
104 Indrio, indietro.



105 Fia, figlia. Termine grazioso che danno i veneziani alla gioventù.



106 Scalmanada, riscaldata.



107 Cossazze, gran cose



108 Putela, bambina.



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