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ATTO PRIMO
SCENA SECONDA Il Genio Cattivo vestito di nero con barba ed una bacchetta in mano, e detti.
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Il Genio Cattivo vestito di nero con barba ed una bacchetta in mano, e detti.
GEN. C. Fermate, figliuoli, e non paventate. Io sono il Genio dominatore di queste selve. Son vostro amico. Voglio farvi del bene, e vengo a procurarvi la vostra felicità.
ARL. Chi èlo sto sior? Mi no lo conosso! (a Corallina)
COR. Signore, chiunque voi siate, vi ringraziamo della vostra bontà. Noi non abbiamo bisogno di niente, non ci manca niente, e siamo bastantemente felici.
GEN. C. (Ah sì, lo so pur troppo. Invidio lo stato loro, e non posso soffrire che vi sieno felici sopra la terra). (da sé)
ARL. (El dise che el ne vol far del ben). (a Corallina)
COR. (Non ne abbiamo bisogno, non l'ascoltiamo). (ad Arlecchino)
GEN. C. Poveri sfortunati! La vostra felicità è fondata sulla vostra ignoranza. Se conosceste il mondo, se conosceste i beni e i piaceri di questa vita, comprendereste la vostra miseria, piangereste il vostro destino.
ARL. Séntistu Corallina? (mostrando qualche curiosità)
COR. Andiamo, andiamo, non l'ascoltiamo di vantaggio.
ARL. Caro sior barbon, cossa ghe pol esser a sto mondo de più delizioso de sta campagna, e de più comodo della nostra capanna, de più dolce de do persone che se vol ben?
GEN. C. Se conosceste il mondo, non parlereste così. Voi siete nella più deserta, nella più povera situazione della terra. Passate i giorni vostri in un bosco, mentre infinito popolo passeggia per le vie spaziose delle città ricche e superbe. L'albergo vostro è un'affumicata capanna, e tanti più fortunati, e di voi forse men meritevoli, albergano in doviziose pareti, riposano su morbidi letti, siedono a laute mense, si trastullano fra i più soavi piaceri. L'amor vostro vi fa parer tutto bello, ma quel medesimo amore che qui v'incanta, che qui vi trattiene, si aumenterebbe in mezzo ai comodi e alle dovizie, e provereste le dolcezze della domestica pace, senza soffrire i disagi della povertà, senza temere i bisogni orribili della vecchiezza.
COR. Sento, sì, sento. Ei dice delle belle cose, ma... Orsù, non gli badiamo né punto, né poco; andiamocene, che sarà meglio per noi.
ARL. Aspetta. Gh'ho chiappà gusto. Vôi devertirme co sto sior barbon.
GEN. C. (Se mi ascoltano, la mia vittoria è sicura). (da sé)
ARL. La diga, caro sior; crédela mo ela che tutte ste belle cose che la ne depenze, le sia fatte per do poveri contadini che xe nati in t'un bosco, e che no sa far altro che arar la terra, piantar dei alberi, e volerse ben?
GEN. C. Il mondo è fatto per tutti, ogni uomo nato nella più vil condizione può aspirare ai primi gradi della civil società, e vi furono dei pastori che giunsero a possedere delle corone.
ARL. Séntistu, Corallina? (a Corallina)
COR. Sento anche troppo, e sento ch'egli principia ad inquietarmi. Caro Arlecchino, ti prego, andiamo via, non l'ascoltiamo di più. (ad Arlecchino)
ARL. Làsseme devertir. (a Corallina) La diga, sior barbon, e ela la gh'averave la facoltà e el poder de farme gòder ste belle cosse, sti bei piaceri, ste gran ricchezze?
GEN. C. Vi darò una prova del mio potere. Ditemi, nell'ordine de' commestibili, qual è la cosa che più vi piace? (ad Arlecchino)
ARL. Per dir la verità, quello che più me piase xe i maccaroni.
GEN. C. Eccovi il primo saggio della mia amicizia per voi, ecco la prima prova del mio potere. (Batte la bacchetta vicino alla fontana, e la fontana si trasforma in una caldaia di maccheroni che bollono, e si vede il foco sotto della caldaia. Compariscono due Spiriti in abito di Cuochi, i quali levano i maccheroni dal fuoco, li fanno passare in un gran piatto, li condiscono col butirro, e li presentano ad Arlecchino, il quale, unito a Corallina, fa le meraviglie, si consola vedendo i maccheroni, ma osserva, e dice)
ARL. E formaio? Oh, senza formaio no i val gnente, no i se pol magnar.
GEN. C. Avete ragione. (Batte la bacchetta sopra uno de' due alberi isolati; l'albero si apre un poco nel mezzo, e getta del formaggio parmigiano grattato. Arlecchino corre a raccoglierlo e lo mette sui maccheroni. Vorrebbe mangiare, ma si trattiene)
ARL. Li magneremo a disnar. (Il Genio ordina ai Cuochi di portar i maccheroni nella capanna di Arlecchino. I Cuochi eseguiscono. Arlecchino vorrebbe seguitarli. Il Genio lo trattiene)
GEN. C. Vergognatevi di correr dietro con avidità ad un cibo grossolano, triviale, voi non conoscete i sapori squisiti delle prelibate vivande, non vi è nota la delicatezza delle cucine francesi, siete privi di quella varietà che solletica il gusto e che forma in oggi l'occupazione più seria delle famiglie.
ARL. Séntistu, Corallina? (pateticamente e con piacere)
COR. Sì, sarà vero tutto quello ch'ei dice, ma noi siamo avvezzi ai nostri cibi semplici e naturali, e la novità di un mangiare più delicato potrebbe alterare il nostro temperamento, e farci perdere la salute. Non ci pensiamo. Non ci manca da vivere. Ringraziamo il signor barbone, e ch'ei ci lasci nella nostra tranquillità.
ARL. Sior barbon, che la ne lassa nella nostra tranquillità.
GEN. C. Voi, donna di spirito come siete, voi, nata per brillare nel gran mondo, rinunzierete ai privilegi del vostro sesso ed agli avvantaggi del vostro merito personale? Vi contenterete di spoglie rustiche e vili, in tempo che adornarvi potreste di seta, d'oro e di argento? Quanto spiccherebbe mai d'avvantaggio il vostro volto gentile con una acconciatura elegante, col ricco adornamento di diamanti e di perle, coi soccorsi dell'arte che correggono i difetti, o aumentano i doni della natura! Vivrete voi in una solitudine sì disgustosa, voi che col vostro talento potreste attirarvi le adorazioni degli uomini e formar la delizia delle società più brillanti?
COR. Senti, Arlecchino? (anch'ella pateticamente, e con piacere)
ARL. Sento. Ma come podémio gòder ste belle cosse, se semo do poveri spiantai, senza un soldo?
GEN. C. Volete voi del danaro? Eccone prontamente. (Batte con la bacchetta sull'altro albero isolato, il quale si apre un poco nel mezzo, e di là sorte quantità di monete d'oro e d'argento)
COR. (Corre col grembiale a raccorle)
ARL. (Fa lo stesso col cappello, e si getta per terra per raccogliere le monete cadute e sparse. Mostrano tutti due l'avidità del danaro. Contendono per averlo; ciascheduno vorrebbe averlo tutto, domandando la parte dell'altro)
GEN. C. (Ecco il seme della discordia. Ecco il principio di quella infelicità che loro vo destinando). (da sé) Godete di quell'oro in comune, approfittate dell'occasione, sortite da questi luoghi infelici, e andate a godere il mondo.
ARL. Ma come farémio? Dove anderémio?
GEN. C. Il mondo è grande, ma per ben principiare a conoscerlo ed a goderlo, vi consiglio di andare in Francia. Ite a Parigi; colà vi troverete contenti; e se qui manca il comodo delle vetture, e se non siete pratici del cammino, tenete: eccovi due anelli. Poneteli al dito. Qualunque volta vi piacerà di cambiar paese, non avrete che a voltare l'anello, invocare lo spirito che vi è rinchiuso, e diverrete invisibili, e vi troverete in pochi minuti trasportati al luogo desiderato.
ARL. Oh caro! (si mette l'anello al dito)
COR. Andiamo a Parigi. (con allegrezza, mettendosi l'anello)
GEN. C. Profittate de' doni miei, prevaletevi delle occasioni, abbandonatevi ai piaceri del mondo; questa è la vera felicità. (Felicità che non dura, ma che degenera in tristezza, in desolazione, e strascina gli uomini al precipizio). (da sé) (Sortono delle fiamme. Il Genio Cattivo sfonda, e sparisce)