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ATTO QUARTO
SCENA ULTIMA Il Tempio della Felicitą. Vedesi in fondo l'ara accesa davanti le due statue rappresentanti la Giustizia e la Pace. Genio Buono, Arlecchino, Corallina, Filidoro, Vanesia vestiti magnificamente e Poligrafo vestito di nero.
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Il Tempio della Felicità. Vedesi in fondo l'ara accesa davanti le due statue rappresentanti la Giustizia e la Pace.
Genio Buono, Arlecchino, Corallina, Filidoro, Vanesia vestiti magnificamente
GEN. B. Eccovi nel Tempio della Felicità, tempio che troverete in ogni luogo dove sarete, perché l'avrete dentro di voi. Chi lo cerca fuori di se medesimo, lo cerca invano. Osservate, udite, ed apprendete ad essere felici. Filidoro! Tu qui? Perché così mesto e dolente?
FIL. Mi manca la contentezza, e vengo a cercarla.
GEN. B. Eppure sei ricco di beni di fortuna!
FIL. Ma non bastano a tutto quello che vorrei.
FIL. Ma la mia salute non regge ad ogni strapazzo.
FIL. Ma mi constristano con i loro consigli.
GEN. B. Tu dunque brami amici che ti adulino; salute senza governo; ricchezza proporzionata ad ogni tua voglia, senza proporzionare le tue voglie al tuo stato! Gli adulatori ti renderanno ridicolo, lo scialacquo ti farà povero; e lo strapazzo della salute ti condurrà presto al sepolcro. Esci da questo tempio, o sii del tuo stato contento. (Filidoro resta sospeso) E tu, Vanesia, perché così inquieta?
GEN. B. Eppure hai un marito che t'ama!
VAN. Ma non mi lascia in piena libertà.
VAN. Ma vorrei essere bella e spiritosa.
GEN. B. Sei ricca e magnifica!
GEN. B. Tu dunque vorresti essere sola nel possedimento del bene? Essere bella e spiritosa anzi che sana? Avere la libertà di vivere a capriccio, anzi che esser amata dal marito? La vita licenziosa ti coprirà di vergogna; gli anni ti renderanno deforme; lo spirito che brami è passeggiera follia, e la velenosa invidia fra mille beni ti farà infelice. Esci tu pure da questo tempio, o riforma il tuo cuore. (Vanesia resta pensosa) E tu, Poligrafo, perché sì agitato?
POL. Ma li parti della mia filosofia o vengono proscritti, o condannati alle fiamme.
GEN. B. Tu passi per dotto ed erudito!
POL. Ma v'è chi osa contraddirmi.
GEN. B. Tu dunque vuoi tutti sottomessi alle tue opinioni? Tu pretendi che i deliri scandalosi della tua malinconica fantasia, atti a guastare i costumi e ad inquietare la società civile, siano tollerati? L'ambizione e la corruttela sono dunque i frutti degli studi tuoi e della tua filosofia? Esci da questo tempio, o impara a regolar te stesso.
POL. Ma se le passioni mi violentano, che colpa è la mia?
GEN. B. Filosofo alla moda! empio e protervo! Le passioni nel cuore umano sono come le vele in una nave. Se il piloto non le regola e non le fa servir all'intrapreso viaggio, ma le lascia in balìa del vento, conducono la nave errante pel vasto mare, e finalmente al naufragio fatale. (Poligrafo resta confuso)
COR. E di noi che sarà?
ARL. La ignoranza n'ha fatto fallar.
GEN. B. Che ignoranza! Cosa vi mancava pria che v'abbandonaste alle lusinghe del Genio Cattivo? E non v'ho io avvertiti de' suoi inganni? Non vi mancava che il modo d'esser infelici, ed il Genio Cattivo ve l'ha dato. Quel che avevate, vi bastava; quel che vi mancava, non vi era né necessario, né utile. Ritornate al vostro stato primiero; ivi sarete contenti. Possono gli uomini cangiar stato, ma non possono cangiare se stessi. La ragione indebolita com'ella è, non è atta quasi più a regolare i desideri. In ogni stato questi imperano sul cuore, e fanno stimar poco ciò che si ha, e moltissimo quel che non si possede. Beati coloro che godono di una situazione non atta a destare che a lunghe pause desideri tumultuosi! Voi nasceste in questa, l'abbandonaste colla lusinga di un'altra migliore, ma finalmente usciste dal vostro errore: siatene paghi. Non vi paragonate collo stato altrui se volete del vostro gustar le delizie. Tutti in diversi modi hanno i loro beni, ma non tutti ne sanno far uso. Specchiatevi in quei volontari infelici, di cui ascoltaste le indiscrete querele, ed imparate che la incontentabilità precipita nella disperazione. (sparisce sprofondandosi; Filidoro, Poligrafo e Vanesia fanno un atto di disperazione, e partono)
COR. Tu mio.
ARL. E tu mia.
COR. Contenti del nostro stato.
ARL. Della fortuna nostra contenti.
COR. Che mai furono le ricchezze ed i piaceri al confronto della quiete e della innocenza perduta! Grazie al Genio Buono che ci ha assistiti colla sua pietà e ci ha rimessi nel sentiere da cui eravamo sviati. I falsi beni del Genio Cattivo erano inganni della vanità e del lusso: beni grandi nella immaginazione e nell'aspettativa, ma in effetto pieni di amarezza; beni accompagnati dagli affanni, dai perigli e dal rimorso. Ritorniamo a godere la riacquistata contentezza ed a respirare l'aria felice, ove la libertà, la pace, la giustizia collegate insieme renderanno i nostri giorni tranquilli e sicuri.