Carlo Goldoni
L'erede fortunata

ATTO SECONDO

SCENA UNDICESIMA

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SCENA UNDICESIMA

 

Pancrazio con Rosaura per mano, e detto.

 

PANC. Guardate che matto! Mi vede venire, e spegne il lume. Chi mai direbbe, che un uomo così grande e grosso fosse vergognoso più di un bambino? Ottavio, dove sei? Sei tu qua?

FLOR. (Mio cuore, vi vuol coraggio. Alfine la mia spada mi leverà da ogn’impegno). (da sé)

PANC. Dove sei, dico? Sei tu andato via?

FLOR. No, signore, son qui. (altera la voce)

PANC. Vien qua, dammi la mano.

FLOR. Lo farò per obbedirvi. (come sopra)

ROS. Solo per obbedire il padre mi darete la mano? Non lo farete per amor mio? Andate, che in tal maniera io non vi voglio.

FLOR. (Oh questa è bella). (da sé) Mia cara, io v’amo.. (come sopra)

ROS. La vostra voce fa conoscere il turbamento del vostro cuore. Pensate bene, che poi...

PANC. Eh via, quanti discorsi! Ottavio, dammi la mano. (prende la mano a Florindo)

FLOR. Eccola. (Fortuna, non mi abbandonare). (da sé)

PANC. Via, sbrigatevi, prendetevi la mano, e terminiamo questo affare. (unisce la mano di Rosaura a quella di Florindo)

ROS. Eccovi la mia destra, e con essa il mio cuore.

PANC. State forte; non vi movete. Questa promissione non sarebbe sussistente, se non vi fossero due testimoni. Chi è di , vi è nessuno?

FLOR. (Vorrebbe liberarsi)

PANC. Eh via, fermati, tu non mi scappi. Vi è nessuno, dico?

 

 

 


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