Carlo Goldoni
L'erede fortunata

ATTO SECONDO

SCENA QUATTORDICESIMA

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SCENA QUATTORDICESIMA

 

Pancrazio, Rosaura, Florindo e Fiammetta

 

ROS. Ah, signor Pancrazio, fermatelo, fate che egli si spieghi.

PANC. Che cosa ha egli da spiegare, se non sa neppure quel che si dica?

FLOR. (La semplicità di costui mi ha giovato infinitamente). (da sé)

PANC. Orsù, domani la discorreremo meglio. Signor Florindo, contentatevi di andar fuori di questa casa. Finalmente, quand’anche fosse vero che Rosaura vi avesse fatto venire, questa è casa mia, ed io sono l’offeso. Per adesso non dico altro; andate, che ci riparleremo.

FLOR. Fin qua avete ragione. E se volete soddisfazione, son pronto a darvela.

PANC. Signor no, la ringrazio infinitamente.

FLOR. Partirò, giacché voi, che siete il padrone di questa casa, me l’ordinate. Rosaura, voi siete causa di un tal disordine. Signore, ella mi ha data la fede, deve esser mia.

ROS. Traditore! Non lo sperate giammai.

PANC. Domani la discorreremo.

FLOR. (Chi non sa fingere, non isperi di migliorar condizione). (parte)

FIAMM. (Eppure, eppure io giocherei che quel signorino volesse infinocchiar quel buon vecchio). (da sé)

ROS. Ah, signor Pancrazio, non mi fategran torto di credere in me...

PANC. Tacete, signora. Pur troppo ho ragione di dubitare. Non vi condanno assolutamente, ma sono un pezzo avanti per credervi complice d’un tal tradimento.

ROS. Mi meraviglio, io non son capace...

PANC. Tacete, vi dico. Siete donna, e tanto basta. (parte)

 

 

 


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