Carlo Goldoni
L'erede fortunata

ATTO TERZO

SCENA TERZA

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SCENA TERZA

 

Ottavio di casa e detti.

 

OTT. (Da che mai procede la nuova confusion di Rosaura? Non la capisco. Mi guarda appena, e sfugge quasi il mirarmi. Mio padre ancora parmi agitato oltre il solito. Il non averli io iersera aspettati, non merita tanto sdegno; alfine mi sono giustificato). (da sé) Voi altri, che fate qui? (a Fiammetta ed Arlecchino)

FIAMM. Io vado per un affare della padrona.

ARL. E mi andava cercando de vussioria.

OTT. Che vuoi da me?

FIAMM. (Fa cenno ad Arlecchino che taccia)

ARL. Gnente... (mostrando aver soggezione di Fiammetta)

OTT. Parla, di’, che cosa vuoi?

ARL. Aveva da dirghe un non so che... ma no ghe digo altro.

FIAMM. (Oh che bestia!) (da sé)

OTT. Voglio che tu mi dica ciò che dir mi dovevi; altrimenti ti bastonerò.

FIAMM. (Fa cenno ad Arlecchino che taccia)

OTT. (Se n’accorge) Come! Tu gli fai cenno che taccia? (a Fiammetta)

FIAMM. Io no, signore.

OTT. Presto, parla. (alzando il bastone)

ARL. Dirò... la sappia...

FIAMM. (Fa i soliti cenni)

OTT. Fraschetta, me ne son accorto. (a Fiammetta) Parla. (ad Arlecchino)

ARL. La sappia, sior, che el sior Florindo...

FIAMM. O via, che gran cosa! Il signor Florindo vorrebbe per moglie la signora Rosaura.

OTT. Non altro? (ad Arlecchino)

ARL. Gh’è qualcoss’altro.

OTT. Dimmelo tosto.

FIAMM. Che tu sia maladetto! (minacciando Arlecchino di soppiatto)

OTT. O narrami tutto, o ti rompo l’ossa di bastonate. (ad Arlecchino)

ARL. A ste maniere obbliganti chi pol resister, resista. Sior Florindo e siora Rosaura i era in camera a scuro...

FIAMM. Non è vero niente.

OTT. Taci. (a Fiammetta) E che facevano? (ad Arlecchino)

ARL. Dimandèghelo a vostro padre, che l’è insatanassado.

OTT. Ah sì, me ne sono accorto. Mio padre smania, e Rosaura arrossisce.

FIAMM. Non gli credete...

OTT. Taci, bugiarda.

ARL. E mi son stà quello che l’ha introdotto a scuro.

OTT. Tu, disgraziato?

ARL. Ma mi no so gnente.

FIAMM. È uno sciocco, non sa cosa che si dica. (ad Ottavio)

ARL. Se i ho visti mi in camera tutti tre.

FIAMM. E per questo?

OTT. Che cosa faceva Florindo in casa? (a Fiammetta)

FIAMM. Era venuto per discorrere col padrone.

ARL. Non è vero ; anzi el padron non l’aveva da saver.

OTT. Ah, che pur troppo dalla sciocchezza di costui, e dall’artifizio con cui vorresti palliarmi la verità, rilevo quanto basta per assicurarmi della mia sventura. (a Fiammetta) Rosaura è un’infedele, e quelle renitenze che ella dimostrava per me, non procedevano da virtù, ma dal cuor prevenuto. Misero Ottavio, donna infida! Non me l’avrei creduto giammai!

FIAMM. Mi creda, signor padrone...

OTT. Taci, donna indegna, e da me aspetta il premio dovuto alle tue imposture.

FIAMM. Ma senta...

OTT. No, non ti ascolto. Mi sentirà Rosaura, mi sentirà quell’infida. (entra in casa)

ARL. E cussì oio fatto ben, o oio fatto mal?

FIAMM. Va al diavolo, bestia, asino, talpa, tronco, macigno, nato per disgrazia ed allevato per la galera. (entra in casa)

ARL. Tutta sta roba a conto de dota. Voio andar a trovar mio cugnà, e finché la cossa è calda, voio che concludemo sto matrimonio. (parte)

 

 

 


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