Carlo Goldoni
L'erede fortunata

ATTO TERZO

SCENA QUARTA

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SCENA QUARTA

 

Camera in casa di Pancrazio.

 

Ottavio e Rosaura

 

OTT. Lasciatemi, ingrata.

ROS. Deh fermatevi, siete in errore.

OTT. Più non ascolto le vostre false lusinghe.

ROS. Sono innocente.

OTT. Perfida, è questa la ricompensa con cui premiate la finezza dell’amor mio? V’amo quanto l’anima mia, vi desidero più della vita, eppure vi cedo a mio padre per non levarvi la vostra fortuna...

ROS. Ma io...

OTT. Tacete. E voi, ingrata, tradite me ed il mio genitore, vi date in braccio ad un nostro nemico, l’introducete di notte nelle vostre stanze.

ROS. Non è vero...

OTT. Tacete, dico. Il servo, non volendo, mi ha svelato ciò che mi si voleva tener nascosto. Fiammetta, quanto più voleva coprire, tanto più spiegava la reità vostra.

ROS. Eppur con tutto questo sono innocente.

OTT. Qual prova avete voi della vostra innocenza, a fronte di tante accuse, di tanti testimoni uniformi?

ROS. Posso la mia innocenza autenticar col mio sangue.

OTT. Questa espression da romanzo non accredita punto la vostra fede. Parto, per non più rimirarvi.

ROS. Ah Ottavio, per pietà, non mi abbandonate. (lo prende per il lembo dell’abito)

OTT. Lasciatemi.

ROS. Non lo sperate.

OTT. Perfida! (si libera con violenza, e vuol fuggire da lei)

ROS. Dove, Ottavio?

OTT. A principiare le mie vendette col sangue dell’indegno Florindo. (parte)

 

 

 


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