Carlo Goldoni
L'erede fortunata

ATTO TERZO

SCENA UNDICESIMA

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SCENA UNDICESIMA

 

Ottavio e detti.

 

OTT. Qui Florindo?...

LEL. Venite, signor cognato, e dalla voce istessa del signor Florindo rileverete non essere vero, quanto si è della signora Rosaura creduto.

OTT. Voi non foste nelle sue camere la scorsa notte? (a Florindo)

FLOR. Vi fui.

OTT. Dunque...

FLOR. Vi fui, ma senza sua colpa.

OTT. Perché introdurvi?

FLOR. Per comodo di favellare con esso lei.

OTT. Con qual lusinga?

FLOR. Con quell’istessa che voi nutrite nel cuore.

OTT. Commetteste un’indegna azione.

FLOR. Se non siete soddisfatto, sono in grado d’attendervi ad un secondo cimento.

LEL. Oh, via, basta così. Non si parli più del passato. Il sangue sparso dal signor Florindo basta a risarcire l’offesa.

OTT. Rosaura dunque non ha avuto parte nell’introdurvi? (a Florindo)

FLOR. No, vi dissi, e ve lo ripeto.

OTT. (Oh me infelice! Ed io l’insultai, la caricai di rimproveri e di minaccie!) (da sé)

FLOR. Mi troverete degno di scusa, allorché vogliate riflettere che amore suggerisce talvolta de’ passi falsi... (a Ottavio)

OTT. Sia amore o sia interesse che abbiavi consigliato, disingannatevi, poiché Rosaura non sarà vostra in eterno.

FLOR. Chi potrà a me contrastarla?

OTT. Io.

LEL. Signori miei, torniamo da capo?

FLOR. Tutta l’arte di vostro padre non basterà a sottrarla...

OTT. Né i raggiri di vostro zio l’acquisteranno.

FLOR. E poi non crediate ch’io sia avvilito per una lieve ferita.

OTT. Né io tarderò lungamente a replicarvi i miei colpi.

LEL. Signori, siete nelle mie camere...

 

 

 


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