Carlo Goldoni
Il feudatario

ATTO PRIMO

SCENA TERZA

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SCENA TERZA

 

Pasqualotto e Marcone, vestiti da contadini.

 

PASQ. Bondì vossignoria

MARC. Saluto vossignoria.

NAR. Sedete. (li due siedono con caricatura) Già sapete che il marchese Ridolfo è morto...

MARC. Salute a noi.

NAR. Ed ora il nostro padrone è il marchese Florindo... (a Mengone)

CEC. Vi sono uccelli in campagna? (a Pasqualotto)

PASQ. Un mondo.

NAR. Badate a me. Il marchese Florindo deve venire a prendere il possesso...

CEC. Quanto vale il vino? (a Marcone)

MARC. Dieci carlini.

NAR. Ascoltatemi. E così deve venire con lui anche la signora marchesa Beatrice sua madre...

CEC. Lòdole ve ne sono? (a Pasqualotto)

PASQ. Assai.

NAR. Volete tacere? Volete ascoltare? E così la Marchesa madre e il Marchesino figlio s'aspettano...

MENG. Io ne ho una botte da vendere. (a Marcone)

NAR. Si aspettano... (forte)

MARC. Lo comprerò io. (a Mengone)

NAR. Si aspettano oggi. (più forte, e con rabbia) Oh! corpo del diavolo! Questa è un'insolenza. Quando parlano i deputati, si ascoltano. E mi maraviglio di voi altri due, che siete deputati come sono io...

CEC. Zitto. (fa segno di silenzio a' sindaci)

NAR. Che non fate portar rispetto alla carica...

CEC. Zitto. (fa l'istesso)

NAR. Oggi verranno il Marchese e la Marchesa, e bisogna pensare a far loro onore.

CEC. Bisogna pensare di far onore a noi e al nostro paese.

MENG. Bisogna regalarli.

NAR. Quello che preme, è questo. Bisogna mettersi all'ordine, incontrarli e complimentarli.

PASQ. Io non me n'intendo.

MARC. Per quattro parole ben dette, son qua io.

NAR. A parlare al Marchese tocca a me. Voi altri mi verrete dietro, e io parlerò; ma chi farà il complimento alla signora Marchesa?

CEC. Non vi è meglio di Ghitta mia moglie. Pare una dottoressa. Tutto il giorno sta a disputare col medico.

NAR. Dove lasciate Giannina mia figlia, che insegna al notaro il levante, il ponente e il mezzogiorno?

MENG. Anche Olivetta mia figlia si farebbe onore. Sa leggere e scrivere; e ha una memoria che fa strasecolare.

MARC. Ma ascoltatemi. Vi è il signor Pantalone, e vi è la signora Rosaura, che san di lettera; non potrebbero essi far per noi le nostre parti col signor Marchesino e colla signora Marchesa?

NAR. Chi? Pantalone?

CEC. Un forestiere?

MENG. Perché ha più denari di noi, sarà più civile, sarà più virtuoso?

NAR. I denari come li ha fatti?

CEC. Sono tanti anni che un tanto l'anno al Marchese, ed esso riscuote tutto: e avanza, e si fa ricco.

MENG. Anche noi ci faremmo ricchi in questa maniera.

PASQ. Un forestiere mangia quello che dovremmo mangiar noi.

MARC. La signora Rosaura per altro è nostra paesana.

NAR. Sì, è vero, ma ha delle ideacce in testa d'essere una signora, e pare che non si degni delle nostre donne.

MARC. Veramente è nata di sangue nobile, e dovrebbe esser ella l'erede di questo Marchesato.

CEC. Se i suoi l'hanno venduto, ora ella non c'entra più.

MARC. Non c'entra, perché il ricco mangia il povero; per altro ci dovrebbe entrare.

MENG. Basta, Rosaura sta in casa con Pantalone; sono genti che non hanno che far con noi. Hanno da compatire le nostre donne.

NAR. Non occorr'altro. Signori deputati, signori sindaci, così faremo.

CEC. Se non v'è altro da dire, io me ne anderò alla caccia.

MENG. E io anderò a far misurare il mio grano.

 

 

 


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