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Rosaura, la Marchesa Beatrice, poi Florindo
BEAT. Io resto attonita, come dar si possa in costoro tanta temerità. Ma appunto la temerità procede dall'ignoranza. Io farò conoscere a queste impertinenti il loro dovere. Farò loro conoscere chi sono io, chi siete voi.
ROS. Ah! signora Marchesa, mirate a qual grado di disperazione mi porta il destino. E qui dovrò vivere? E qui dovrò vedermi sacrificata? Signora Marchesa, abbiate pietà di me.
BEAT. (Veramente merita compassione!) (da sé) Penserò al modo di rendervi consolata.
ROS. Eh! signora, se le parole bastassero, tutti gl'infelici sarebbero consolati. Chi vive fra gli agi e le morbidezze, non crede agli affanni di chi languisce penando; e chi trovasi collocato in grado di nobiltà grandiosa non cura, non ascolta e spesso ancora disprezza chi è nato nobile, ed è sfortunato.
BEAT. (Parla in guisa che mi sorprende). (da sé)
FLOR. Posso venire? Mi è permesso?
BEAT. Venite; perché tal dubbio?
FLOR. Quando vedo donne, ho sempre timore, ho sempre soggezione.
BEAT. Quando però ci sono io, non quando le trovate sole.
FLOR. Chi sente voi, eccellentissima signora madre, crede ch'io sia il maggior discolo di questo mondo. Voi mi fate un bel carattere. Cara signora, non lo credete. Io sono un veneratore della bellezza, che sa trattare le donne con rispetto e con civiltà.
ROS. Perdonatemi, signore, voi non mi avete fatto creder così quando...
FLOR. Oh! allora non vi conosceva; ma ora che so chi voi siete, non vi lagnerete di me. Signora madre, questa è una damina. Me ne ha informato il signor Pantalone.
BEAT. Sì, è nata nobile, ma sfortunata.
FLOR. Per amor del cielo, non l'abbandonate. Soccorriamola. Io voglio fare la sua fortuna.
ROS. Signore, questo bene lo spero dalla signora Marchesa.
FLOR. Eh! la signora Marchesa non vi può fare il bene che vi farà il signor Marchese... Io, io, cara, lo vedrete.
BEAT. Rosaura, ritiratevi, se vi contentate. Ho da parlare col Marchesino.
ROS. Obbedisco. (Chi sa! può essere che il mio destino si cangi). (da sé, parte)