Carlo Goldoni
Il feudatario

ATTO SECONDO

SCENA DICIANNOVESIMA

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SCENA DICIANNOVESIMA

 

Cecco collo schioppo, e detti.

 

NAR. Ma ve l'ho detto tante volte, che in Comunità non venghiate collo schioppetto.

CEC. Oh, questo non lo lascio.

MENG. Stiamo qui pensando qual divertimento potremmo dare al signor Marchese.

CEC. Ve lo dirò io.

NAR. Via, da bravo.

CEC. Una mezza dozzina delle nostre donne.

NAR. Come?

CEC. Fa il grazioso colle nostre femmine. Si caccia appresso di tutte, le incanta, e non dico altro.

NAR. Da chi è stato?

CEC. Da vostra figlia.

NAR. Da mia figlia?

CEC. Sì, e anche dalla vostra. (a Mengone)

MENG. Anche da Olivetta?

CEC. E voleva andare da Ghitta; ma con un certo complimento l'ho persuaso a desistere.

MENG. Altro che la caccia dell'orso!

MARC. Altro che il collo dell'oca!

NAR. Qui si tratta dell'onore e della reputazione.

CEC. Minaccia, strapazza, fa il prepotente.

NAR. Subito al rimedio.

MENG. Che cosa pensereste di fare?

NAR. Bisogna far consiglio sulla materia.

MARC. Direi...

NAR. Facciamo Comunità.

PASQ. Ecco qui, non ci siamo tutti?

CEC. Schioppetto, schioppetto.

NAR. No, politica: aspettate. Massari, serventi, portate i seggioloni. Non c'è nessuno? Ce li porteremo da noi. (Ognuno va a prendere la sua sedia, e la tira innanzi, e tutti si pongono a sedere)

CEC. Non si poteva discorrere senza queste sediacce?

NAR. Signor no. Quando si tratta di cose grandi, bisogna sedere; e queste sedie pare che suggeriscano i buoni consigli.

MENG. In fatti sono avvezze da tanti anni a sentir consigliare, che ne sapran più di noi.

NAR. (Sputa e si compone, e tutti fanno silenzio) Nobile ed antica Comunità, avendo noi penetrato, per mezzo d'uno de' nostri carissimi laterali, che il signor Marchesino cerchi d'infeudare le nostre donne nel Marchesato, bisogna pensare a difendere le possessioni del nostro onore, e le valli della nostra riputazione. E però pensate, consigliate e parlate, o illustri membri della nobile e antica Comunità.

CEC. Io direi debolmente, per non impegnarci né in ispese, né in complimenti, di dargli un'archibugiata; ed io mi esibisco di farlo, in nome di tutta la nobile ed antica Comunità.

MENG. No, amatissimo mio laterale compagno, non è cosa da farsi, mettere le mani nel sangue del nostro Feudatario; direi, rassegnandomi sempre, che andassimo di notte tempo a dargli fuoco alla casa.

MARC. No, non va bene. Potrebbero abbruciarsi tanti altri che sono in casa, che non ne hanno colpa.

PASQ. A me pare che sarebbe meglio fare a lui quello che si fa alli nostri agnelli, quando vogliamo farli diventar castroni.

NAR. Ho inteso. Ora tocca a parlare a me. Prima di metter mano al sangue, al fuoco, al taglio, vediamo se colla politica si può ottenere l'intento. Andiamo tutti dalla Marchesa madre. Quel che non farà uno, farà l'altro. Anderò io in prima, che sono il deputato di mezzo, e poscia i laterali. Se non faremo niente colla madre, procureremo di farlo col figlio; se non varranno le buone, varranno le cattive; adopreremo il fuoco, gli schioppi ed il coltello, per salvezza della nostra nobile ed antica Comunità.

MENG. Bravissimo.

MARC. Dite bene.

PASQ. L'approvo.

CEC. Fate pure, ma vedrete che ci vorrà lo schioppetto.

NAR. Andiamo. Viva la nostra Comunità. (parte)

CEC. Viva l'onorato schioppetto. (parte)

MENG. Per lavar le macchie della riputazione vuol esser fuoco. (parte)

PASQ. Ed io dico, che facendogli la burla degli agnelli, le nostre donne saranno sicure. (parte)



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