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Il conte Ottavio vestito con caricatura, cioè con abito magnifico gallonato, colle calzette nere, parrucca mal pettinata, con Arlecchino, e detto.
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ARL. (Alza la portiera al conte Ottavio, e gli fa delle profonde riverenze. Ottavio lo guarda attentamente senza parlare, poi lo chiama a sé, tira fuori una borsa, e gli dona uno zecchino. Pantalone va facendo delle riverenze al conte e questi non gli abbada, osservando Arlecchino)
PANT. (Cossa t’alo dà?) (piano ad Arlecchino)
ARL. (Un zecchin). (resta sulla porta)
PANT. (Se lo digo che mia fia starà da regina). (da sé)
OTT. Servitor suo, signor Pantalone.
PANT. Servitor umilissimo. L’ho reverida ancora, ma no la m’ha osservà.
OTT. Dov’è la signora Rosaura?
PANT. Adess’adesso la vegnirà. Oe, diseghe a Rosaura che la vegna qua. (ad Arlecchino)
ARL. Sior sì. (Oh! a sto sior conte ghe ne vôi cuccar de quei pochi dei zecchini). (da sé, parte)
OTT. Non sono stanco. Che dice di me la signora Rosaura? È contenta?
PANT. No vorla che la sia contenta?
OTT. Le ho portato una bagattella.
OTT. Tenete, dategliela voi. (gli dà un involto di carta)
PANT. Benissimo. (Stago a véder, che la sia qualche freddura). (da sé) Possio véder?
OTT. Sì.
PANT. Olà! Zoggie? Sior conte, roba bona?
OTT. Della carta vi servirete voi.
PANT. Grazie. (O che omo curioso!) Questo xe un regalo da prencipe. I valerà almanco domille ducati.
PANT. Se ho dito un sproposito, la compatissa; mi no negozio de zoggie.
PANT. E cussì, in t’una carta!
OTT. Non favorisce la signora sposa?
PANT. Se la me permette, anderò mi a chiamarla. Ghe porterò ste belle zoggie. La farò consolar.
OTT. Pregatela che non mi faccia aspettare.
PANT. Vegno subito. Mille doppie in t’una carta! O che caro sior zenero! (parte)