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Rosaura, Beatrice e detti; poi Arlecchino
ROS. Serva umilissima del signor conte.
OTT. Servitor umilissimo della signora contessa.
ROS. Ella mi onora di un titolo, che io non merito.
BEAT. Anch’io, signore, le sono umilissima serva.
OTT. Padrona mia. (Chi è questa?) (a Pantalone)
PANT. (Una cittadina, amiga de mia fia). (da sé)
OTT. (Non mi dispiace. È grassotta). (da sé)
PANT. Che i se comoda. Oe, portè delle careghe.
ARL. (Porta le sedie a tutti. Quando porge la sedia ad Ottavio, Ottavio si spurga. Arlecchino, per paura dello sputo, parte)
OTT. (Guarda nel viso Rosaura, senza parlare)
BEAT. Il signor conte ha donato delle belle gioje alla signora Rosaura.
PANT. Un regalo da cavalier nobile e generoso, come che el xe.
OTT. (Seguita a guardare Rosaura)
ROS. Signore, ho io qualche cosa di stravagante, che mi guarda sì fisso?
BEAT. La signora Rosaura è una giovine veramente di merito; ha tutte le buone qualità, è bella, è graziosa...
PANT. Séntela, siora Beatrice? No bisogna intrar dove no se xe chiamadi.
BEAT. (Avrei quasi piacere che Rosaura lo prendesse. È generoso, staremo allegri). (da sé)
OTT. Favoritemi della mano. (a Rosaura)
BEAT. Cara Rosaura, gradite le finezze del signor conte.
ROS. (Povero Florindo! Beatrice non si ricorda di lui). (da sé)
PANT. Via, deghe la man. Al novizzo xe lecito. No fe smorfie.
ROS. Sapete, signor padre, che io non sono avvezza.
PANT. Mia fia xe arlevada ben, sala, sior conte? Via deghe la man, che ve lo comando mi.
ROS. Per obbedire. (offre la mano al conte, col guanto)
OTT. (Osserva che ha il guanto. Ritira la mano, caccia un guanto di tasca, se lo mette, e poi dà la mano a Rosaura)
OTT. (Osserva Beatrice, che non ha i guanti. Le dà l’altra mano senza il guanto, ed ella l’accetta)
BEAT. Cinque e cinque dieci.
PANT. Amor non ha da far la fadiga de passar el guanto.
OTT. Cittadina grassotta! (a Beatrice)
ROS. (Oh! se la sorte mi liberasse da questo conte stucchevole, felice me! Lo cederei con tutte le sue ricchezze). (da sé)
OTT. Sposa mia, non voglio guanti. (a Rosaura)
ROS. Ma, signore, la civiltà... la pulizia...
ROS. Mi maraviglio di lei. (sdegnata)
OTT. Uh! (con ammirazione, e si volta a Beatrice ridendo)
PANT. Sior conte se el temperamento de mia fia no ghe piasesse, se el fusse malcontento de sto negozio, la sappia che son un omo d’onor, capace de metterla in libertà.
OTT. (Tira fuori la tabacchiera e dà tabacco a tutti)
PANT. Gh’el digo de cuor, sala? Stimo infinitamente la so nobiltà, la so ricchezza, ma voggio ben a mia fia; e no vorave, che pentindose d’averla tiolta...
OTT. Zitto. Tenete. (offre la scatola d’oro a Rosaura)
ROS. Obbligatissima; io non prendo tabacco.
OTT. Grassotta, a voi. (dà la tabacchiera a Beatrice)
BEAT. Obbligatissima alle sue grazie. (la prende)
PANT. (Eh! la se comoda presto). (da sé) Sior conte, ghe torno a dir che mia fia xe un poco rusteghetta; se el fusse pentio de volerla...
OTT. Zitto. (tira fuori una carta di tasca)
ROS. (Oh! volesse il cielo ch’ei si pentisse davvero). (da sé)
OTT. Vedete? (mostra la carta a Pantalone)
PANT. Vedo. Questo xe el nostro contratto. Se la lo vol strazzar...
OTT. Tale voi, tale io. Quello che è scritto, è scritto. (ripone la carta)
OTT. Questa sera mi darete la mano. (a Rosaura)
OTT. Questa sera si concluderà.
BEAT. Sì, questa sera si faranno le nozze.
PANT. Cossa gh’ìntrela ella? (a Beatrice)
OTT. Grassotta allegra, svegliate voi la mia sposa.
BEAT. Lasciate fare a me; non dubitate.
OTT. (Si mette a guardar Rosaura fisso)
PANT. (No gh’è remedio. Bisogna mantegnir la parola). (da sé)
BEAT. (È il più bel carattere di questo mondo). (da sé)
ROS. Signore, non mi avete ancora guardata?
OTT. Questa sera. Schiavo, signori. (parte)
ROS. Ah! signor padre, vedete che uomo stravagante è codesto?
PANT. La parola xe dada, e no ghe xe più remedio. El xe ricco, el xe generoso. Qualcossa s’ha da soffrir. Alle curte. Ho promesso; l’avè da tior. (parte)
ROS. Beatrice mia, e il povero Florindo?
BEAT. Eh cara Rosaura, Florindo non vi ha mai regalate di quelle gioje.
ROS. Povero infelice! E dovrò abbandonarlo?
BEAT. Eh! che tutti gli uomini sono uomini. Se io non avessi marito, vorrei liberarvi dall’incomodo del signor conte. Mille doppie di gioje? Oh che bel marito! (parte)
ROS. Il mio cuore val più di tutte le gioje di questa terra, e se dovrò perderlo, lo sagrificherò all’obbedienza, non all’idolo dell’interesse. (parte)