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Olivetta col servitore che le alza la portiera, e detto.
OLIV. Grand’asino! Un poco più, mi guastava il tuppè.
BRIGH. Cossa feu, fia? Seu più stracca dal viazo?
OLIV. Non sono stanca, ma ho ancora nel naso il puzzo della barca.
BRIGH. Gh’aveu gnente da nasar?
OLIV. Sì, ho quest’acqua di melissa.
BRIGH. Oe, quella bozzettina d’oro no l’ho più vista.
BRIGH. Da quando in qua?
LUM. (In barca non l’ha guadagnata a far le capriole). (da sé)
BRIGH. No ve le avè miga lavade col bazil d’arzento.
BRIGH. Cara vu, lavevele un’altra volta. Me par che no le gh’abbiè troppo nette.
BRIGH. Vedeu? A mi me piase la pulizia. Lavevele col bazil d’arzento.
OLIV. Farò come volete.
BRIGH. Presto, da sentar. (a Lumaca, che prende una sedia) Porta avanti quel bazil. Va a tor dell’acqua. Ecco qua la saonetta. Tutto arzento, tutto arzento.
OLIV. Una guantiera per mettere questi anelli.
BRIGH. Tiò una sottocoppa d’arzento.
LUM. (Prende la sottocoppa con una mano, e coll’altra la brocca coll’acqua, versandone nel bacile)
OLIV. (Lavandosi) Lumaca, vammi a prendere lo sciugatoio.
BRIGH. Quello bello, coi pizzi di Fiandra.
BRIGH. Lassa véder a mi. (prende egli tutto, Lumaca parte)
OLIV. Mi dispiace, signor padre, che abbiate questo incomodo.
BRIGH. Niente, figlia; ho l’onore di favorirvi.