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Il conte Ottavio e detto; poi il cameriere
OTT. M’ha detto il locandiere chi siete. Parlate, che vi ascolterò.
FLOR. Che difficoltà avevate voi di trattar meco?
OTT. Il mondo è pieno di bricconi. Sedete.
FLOR. (Mi son note le sue stravaganze). (da sé; siedono) Signore, mi è stato supposto, che voi vogliate accasarvi colla signora Rosaura Bisognosi; è egli vero?
OTT. I fatti miei non li dico a nessuno.
FLOR. Se voi non mi volete dire i fatti vostri, vi dirò io i miei...
FLOR. Vi curerete saperli, se vi dirò che la signora Rosaura è meco impegnata.
OTT. Da quando in qua?
FLOR. Son anni, che noi ci amiamo.
OTT. Pantalone è uomo d’onore.
FLOR. Ma se la figlia non vi acconsente?
OTT. Vi acconsente.
FLOR. Forzatamente, forse per obbedienza al padre; non per genio, non per amore di voi.
FLOR. Il cuor di Rosaura è mio.
FLOR. Giuro al cielo. A me pazzo? (s’alza furioso)
FLOR. Colla spada mi renderete conto di tale ingiuria.
OTT. (S’avvia verso la camera con qualche timore)
FLOR. Se non mi lascerete Rosaura, perderete la vita.
OTT. (Tirandosi su li calzoni e sbuffando parte)
CAM. Signore, in questa locanda non si fanno bravate. (a Florindo)
FLOR. Lo troverò per istrada. Ditegli che si guardi da un disperato. (parte)
CAM. Che diavolo è stato? Anderò io con due o tre compagni a guardar la vita del signor conte. Di quando in quando butta filippi, che consolano il cuore. (parte)