Carlo Goldoni
La figlia obbediente

ATTO TERZO

SCENA QUATTORDICESIMA

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SCENA QUATTORDICESIMA

 

Pantalone e Rosaura col lume; poi Beatrice

 

PANT. Perché fia mia, no t’astu messo le zoggie che t’ha mandà sior conte? Ti ghaveressi fatta una finezza a comparirghe davanti col so bel regalo.

ROS. Non mancherà tempo.

PANT. Col vien, vaghe incontra. Faghe véder che ti ghe vol ben. No ti gh’ha mai un segno d’amor.

ROS. Sì, signore, farò tutto quel che volete.

PANT. Càvete quei vanti.

ROS. Me li caverò, quando sarà tempo.

PANT. Ti sa che nol li pol véder quei vanti.

ROS. Veramente è pieno di stravaganze.

PANT. Ma el xe pien de bezzi.

BEAT. Signor Pantalone, signora Rosaura, ridete.

PANT. Coss’è stà?

BEAT. Monsù Brighella è in sala, che si dispera. Il suo servitore gli ha portato via ogni cosa. È restato miserabile, ed è che fa rider tutti.

PANT. Chi è che ride del male dei altri? Ste cosse no le posso soffrir: semo tutti soggetti a delle desgrazie, e no bisogna metter in redicolo chi le prova. Povero Brighella, vôi sentir come che la xe. Rosaura, adesso torno. Cara fia, quanto che ti me consoli, vedendote allegra e contenta. (parte)

ROS. (Se mai la finzione è stata virtù, credo certamente che la sia questa volta). (da sé)

BEAT. Ehi! Sapete chi è in quel camerino?

ROS. Chi?

BEAT. Zitto. Quel pazzo di Florindo.

ROS. Oh Dio! Come?

 

 

 


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