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Pantalone e Rosaura col lume; poi Beatrice
PANT. Perché fia mia, no t’astu messo le zoggie che t’ha mandà sior conte? Ti gh’averessi fatta una finezza a comparirghe davanti col so bel regalo.
PANT. Col vien, vaghe incontra. Faghe véder che ti ghe vol ben. No ti gh’ha mai dà un segno d’amor.
ROS. Sì, signore, farò tutto quel che volete.
ROS. Me li caverò, quando sarà tempo.
PANT. Ti sa che nol li pol véder quei vanti.
ROS. Veramente è pieno di stravaganze.
BEAT. Signor Pantalone, signora Rosaura, ridete.
BEAT. Monsù Brighella è in sala, che si dispera. Il suo servitore gli ha portato via ogni cosa. È restato miserabile, ed è là che fa rider tutti.
PANT. Chi è che ride del male dei altri? Ste cosse no le posso soffrir: semo tutti soggetti a delle desgrazie, e no bisogna metter in redicolo chi le prova. Povero Brighella, vôi sentir come che la xe. Rosaura, adesso torno. Cara fia, quanto che ti me consoli, vedendote allegra e contenta. (parte)
ROS. (Se mai la finzione è stata virtù, credo certamente che la sia questa volta). (da sé)
BEAT. Ehi! Sapete chi è in quel camerino?
ROS. Chi?
BEAT. Zitto. Quel pazzo di Florindo.