Carlo Goldoni
La finta ammalata

A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR CONTE ANNIBALE GAMBARA PATRIZIO VENETO E SENATORE AMPLISSIMO, BARONE DEL S. R. I., SIGNORE DI AJELLO, FEUDATARIO DI VIROLA, ALGHISE, PRALBOINO, MILZANO ecc.

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A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR CONTE

ANNIBALE GAMBARA

PATRIZIO VENETO E SENATORE AMPLISSIMO,

BARONE DEL S. R. I., SIGNORE DI AJELLO,

FEUDATARIO DI VIROLA, ALGHISE,

PRALBOINO, MILZANO ecc.

 

Allora quando, Eccellentissimo Signore, seguirono le felicissime Nozze fra la Nobilissima Dama, la Signora Contessa Paola, di Lei Sorella, e Sua Eccellenza il Signor Cavaliere Luigi Pisani, Procurator di San Marco, io era per mio distino in Toscana. Colà giunse lo strepito delle acclamazioni del giubbilo di tutti gli ordini della Città e dello Stato della Repubblica Serenissima di Venezia, esultante per cotal maritaggio, e dalle Rime de’ valorosi Poeti cantar s’udirono con ammirazione le lodi di due Famiglierinomate e sì illustri.

Io più d’ogni altro forse eccitare mi sentii a tesser inni di giubbilo in una sì fortunata occasione, poiché, oltre il piacere che io ne provava, comune a tutti i Concittadini della mia Patria, mi credea in debito di manifestare l’umilissima servitù mia verso ambedue l’Eccellentissime Case, e la somma benignità con cui dall’una e dall’altra veniva io fortunatamente protetto. Le mie vessazioni, pur troppo al Mondo tutto palesi, m’hanno vietato poterlo fare, poiché un animo angustiato ed afflitto non può cantare carmi di gioia, e mal si convenivano a liete nozze i tristi omei, che andava tra le sofferte persecuzioni spargendo. Uscì nel tempo medesimo dai torchi di Venezia un quinto Tomo delle povere Commedie mie scontraffatte e scorrette, e a queste fu posto in fronte il nome grande suddetto della Nobilissima Dama, il che colmarmi doveva di consolazione, ma tutto in que’ giorni calamitosi mi si convertiva in veleno, rammaricandomi sopra di ciò aspramente che altri usurpato mi avesse l’onore di procurare da me medesimo una sì magnanima Protettrice alle Opere mie, e che le fossero queste senza la correzione mia dedicate. Io non ardisco presentarmi alla Dama con altra offerta, poiché sperando ch’ella abbia voluto onorare coll’alta sua protezione le Opere di un miserabile Autore, quantunque da straniera mano esibite, abusarmi non deggio della clemenza sua, ma renderle quelle grazie ch’io posso per un benefizio che giovami considerare a me soltanto concesso.

Altro non mancami per compimento del mio giubbilo e dell’onor mio, che della protezione benignissima dell’E. V. Potermi in faccia al Mondo gloriare. Ella è naturalmente inclinata a proteggere e a beneficare, avendo ereditato dagli Avi dell’antichissima Prosapia sua le più belle, le più eroiche Virtù, che vagliano a costituire un Cavaliere degno d’ammirazione e di lode.

Fino nell’anno CCCLXXIX che vale a dire quattordici secoli prima de’ nostri correnti giorni, principiò l’Italia a essere onorata dal sangue illustre de’ Gambara, allora quando la Madre d’Ibore ed Agione, Duci de’ Longobardi; si rese per le sublimi doti sue venerabile agl’Italiani; indi nell’anno CM Ancislao, condottiere di valorosa Armata, diè prove ammirabili del suo valore, e Ugone, suo primogenito, meritò essere da Ottone Imperadore della Prefettura d’Italia insignito, mentre un altro Ancislao godeva il Principato assoluto di Norlinghen nella Svevia. Un Francesco ebbe da Ferdinando Imperadore sette villaggi nel Friuli col titolo di Conte e Barone del S. R. I. Un Galeazzo fu Consigliere di Stato dell’Imperador Carlo IV, ed un Alberto per l’Imperadore Lottario ha governato la Lombardia. Uberto, Vescovo di Fortuna, poi Cardinale di Santa Chiesa, carissimo fu per la rara dottrina sua a Clemente VII, lo consigliava negli ardui mari di quei tempi calamitosi e dopo averlo impiegato nelle Nunziature di Portogallo, di Francia e d’Inghilterra, lo spedì a Carlo V, affinché lo sollecitasse a celebrare il Concilio, siccome felicemente gli riuscì di condurre a fine; e altri tre Cardinali, Gianfrancesco, Gerardo e Alberto, furono lo splendore del Vaticano, il primo de’ quali, fra le altre virtù, avea quella ancora di una esquisitissima poesia. Di questa fu ammirabile posseditore un Lorenzo nel cinquecento, contemporaneo al Giraldi, e Veronica, moglie di Gilberto VII signor di Correggio; e Ginevra e Giulia furono Poetesse rinomatissime, dall’Ariosto lodate al Canto quarantesimo sesto con questi versi:

 

«Veronica de’ Gambara è con loro,

«Sì grata a Febo ed all’Aonio Coro.

«Veggio un’altra Ginevra, pur uscita

«Dal medesimo sangue, e Giulia seco

 

Una Deidamia fu lo splendore de’ Letterati di quell’età, ed una Paola si venera sugli Altari, il di cui corpo si conserva incorrotto in Bene, nel Piemonte; e Fantina, e Maddalena, e Domitilla per santità rinomate, furono santificatrici di tre Chiostri della Carità in Brescia e di Santa Chiara, ed in Cremona di San Benedetto. Potrei rammemorare un Lanfranco, che col Re Ferdinando fu all’Impresa di Terra Santa, ed un Manfredi, che nella Lega intervenne contro Ezzelino in Milano conchiusa, e cent’altri Eroi d’una sì illustre rinomata Famiglia, ma sol di Brunoro farò memoria, tanto per le doti sue a Carlo V diletto, che volle si dipignesse a cavallo, con questi caratteri sulla tela: Brunorus Gambara Carolo V individuus. E di Domenico Michele ancora, il quale andò parimente all’impresa di Terra Santa, acquistò la città di Tiro, e molte ne soggettò alla Repubblica Veneziana.

Passati di padre in figlio i meriti e le virtù di tanti Eroi, di tante Eroine, ecco nell’E. V., siccome negli amabilissimi Fratelli suoi, conservato quello spirito di magnificenza, che ha sempre fatto risplendere una sì rinomata Famiglia, ed ecco moltiplicate ed abbellite quelle Virtù, che sono state 1’ammirazione de’ secoli trascorsi, e sono tuttavia la delizia de’nostri tempi.

Si uniscono nell’E. V. tante peregrine doti, che ciascheduno aspira sollecito all’onor di conoscerla e di ammirarla. Io certamente, benché il più immeritevole di chicchessia, ho coraggio d’aspirare egualmente all’onore altissimo della sia protezione, ed offerendole umilmente una delle imperfette Opere mie, intendo di offerirle con essa il mio cuore, la mia servitù, la mia vita medesima, per tutto il corso della quale, bramo di essere con profondissimo ossequio

 

Di V. E.

 

Umiliss. Divotiss. ed Obbligatiss. Serv.

Carlo Goldoni


 


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