Carlo Goldoni
La finta ammalata

ATTO TERZO

SCENA QUINTA

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SCENA QUINTA

 

Pantalone, poi Agapito.

 

PANT. Vorria provar l’unguento de sta donna; el costa poco, e se poderia dar che con poco la varisse; ghe n’ho buttà via tanti, no vôi vardar spesa: chiamerò sto spargirico, so ch’el gh’ha un balsamo, che varisse trenta o quaranta mali; possibile che nol varissa anca quello de mia fia?

AGAP. Signor Pantalone, con sua licenza.

PANT. Oh sior Agapito, la reverisso.

AGAP. Che dice?

PANT. La reverisso. (forte)

AGAP. Oh, obbligato. Sta bene la signora Rosaura?

PANT. La sta malissimo.

AGAP. Sì? Me ne rallegro.

PANT. Ve ne rallegrè? (forte)

AGAP. Sì signore, ho gusto che stia bene.

PANT. Ve digo che la sta malissimo, malissimo. (forte)

AGAP. Ah, ho inteso; me ne spiace.

PANT. (Co sto sordo se fa fadighe da bestie). (da sé)

AGAP. Come è andato il consulto?

PANT. No i ha concluso gnente affatto.

AGAP. Sì? L’hanno fatto?

PANT. I l’ha fatto. (forte)

AGAP. Che cosa hanno concluso?

PANT. Gnente, gnente. (forte assai)

AGAP. Non dite tanto forte, che mi offendete l’orecchio.

PANT. Mo se sordo. (forte)

AGAP. Io sordo? Mi maraviglio di voi: sento ronzar le mosche. Voi mi offendete.

PANT. Compatime, no dirò più.

AGAP. Io sordo? Mi fate un bel credito.

PANT. Caro vu, ho fallà, no dirò più.

AGAP. Vendo l’olio per la sordità, e volete ch’io sia sordo?

PANT. Cossa vuol dir, che qualche volta no ghe sentì?

AGAP. Con quest’olio ho fatto prodigi.

PANT. Xe vero che qualche volta no ghe sentì?

AGAP. E se voi l’adoprerete, non patirete di sordità.

PANT. Adesso ghe sentìu?

AGAP. Che?

PANT. Ghe sentìu? (un poco più forte)

AGAP. Come?

PANT. Ghe sentìu? (assai forte)

AGAP. Sì, ci sento, ci sento.

PANT. (Siestu maledetto, l’è sordo, e nol vuol esser). (da sé)

AGAP. Sicché dunque i medici non hanno concluso niente?

PANT. Gnente. (forte)

AGAP. Ma piano, che ci sento. Che cosa pensate fare di vostra figlia?

PANT. No so gnanca mi.

AGAP. Che?

PANT. No so gnanca mi. (forte)

AGAP. Ho inteso: volete fare a mio modo?

PANT. Perché no?

AGAP. No? Avete detto di no?

PANT. Ho dito perché no? (forte)

AGAP. Sì, v’ho capito. Perché no, vuol dire di sì. V’ho capito. Se volete fare a modo mio, datele due o tre prese di china.

PANT. La china a mia fia no ghe passa.

AGAP. Come passa?

PANT. La china no ghe passa. (forte)

AGAP. Bene; l’aiuteremo con un purgante.

PANT. Con un poco de cremor de tartaro. (forte)

AGAP. No, col cremor di tartaro no. La china col cremor di tartaro non va bene, non si unisce bene. China e cremor di tartaro sono due medicamenti contrari. Avete capito? Son due medicamenti contrari, che combattono fra di loro. Intendete? Due medicamenti nemici, appunto come sono nemici l’imperator della China e il Can de’ Tartari. Avete capito?

PANT. Aspetto un spargirico.

AGAP. Come? Un panegirico?

PANT. Un spargirico. (forte assai)

AGAP. Un spargirico? Ho inteso. Maledetti questi spargirici! Rovinano le spezierie. Tutti impostori, tutti ciarlatani. Non vi fidate, non credete loro. Ciarlatani, ciarlatani.

PANT. L’è un omo grando. (forte)

AGAP. Come si chiama?

PANT. Asdrubale.

AGAP. Chi? Annibale?

PANT. Asdrubale.

AGAP. Lo conosco, lo conosco; è venuto da me a comprar la genziana, e poi la per un suo segreto particolare per la febbre. Con dieci soldi busca trenta scudi. Avete inteso? (forte)

PANT. Ho capìo.

AGAP. Io con sette paoli gli ho fatto una boccia di spirito aromatico, ed egli guadagnerà dei zecchini. Avete capito? (forte)

PANT. Sior sì, ho capìo. (forte)

AGAP. Ma non gridateforte.

PANT. Criè anca vu. (forte)

AGAP. Lo fo per farmi sentire.

PANT. Cossa concludemo de mia fia?

AGAP. Come?

PANT. (Oh poveretto mi!) Per mia fia cossa ghe vol?

AGAP. Mogol?

PANT. Ghe vol china?

AGAP. Mogol e China?

PANT. Son desperà.

AGAP. Vi dirò: il principe del Mogol ha dato la sua figlia per moglie al principe della China. Avete capito? E il matrimonio è fatto, e non si può più disfare. Avete inteso? Oh, vi è il gran Can dei Tartari...

 

 

 


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