Carlo Goldoni
Il frappatore

ATTO SECONDO

SCENA SESTA

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SCENA SESTA

 

Beatrice sola, poi Tonino

 

BEAT.

Costei mi pare una pazza. Dice mal del fratello, dice mal del marito. Questi l’ha abbandonata, quegli non ha amore per lei; segno che non merita di essere amata.

TON.

Oe, putti, zoveni, camerieri. Caro quel zovene, feme un servizio; ho curà delle ostreghe che ho portà da Venezia, porteme da lavar le man.

BEAT.

Signore, mi maraviglio di voi. Per chi mi avete preso? per un servitore?

TON.

Chi seu, sior?

BEAT.

Sono una persona forestiera, alloggiata qui, come siete voi.

TON.

Via, no gh’è un mal al mondo. Ho fallà, e la xe fenia.

BEAT.

Mi pare peraltro...

TON.

Da che paese xela, patron?

BEAT.

Di Firenze.

TON.

Dove che i magna le fortaggie de un vovo solo?

BEAT.

E voi di dove siete?

TON.

Venezian, per servirla.

BEAT.

Il vostro nome?

TON.

Tonin bella grazia.

BEAT.

(Questi è il giovane che conduce Ottavio a viaggiare). (da sé)

TON.

La diga, xela la verità che qua no se usa troppo a dar del lustrissimo?

BEAT.

Certamente, tra galantuomini questo titolo si risparmia.

TON.

E a Fiorenza?

BEAT.

A Firenze ancora. Non si che dai servitori e dalla gente bassa.

TON.

Co l’è cussì, torno a Venezia. Me piase sentirme a dar del lustrissimo. Sentirme a dir, co passo per strada: lustrissimo sior Tonin, bondì a vussustrissima, vussustrissima sarà servida. Me sgionfo; vegno tanto fatto.

BEAT.

(Me l’ha detto il signor Ottavio, che è debole di cervello). (da sé)

TON.

(Sto sior el me par un musico che ha cantà a Venezia). (da sé)

BEAT.

(Mi guarda con attenzione. Conoscerà che sono una donna). (da sé)

TON.

(Certo me par de cognosserlo, ma no vorave fallar). (da sé)

BEAT.

meglio che mi dia da conoscere). (da sé)

TON.

La prego, in grazia... se se pol.. se xe lecito...

BEAT.

Parlate pure con libertà.

TON.

No xela ella?... no credo de ingannarme seguro.

BEAT.

Probabilmente non v’ingannerete.

TON.

No certo, perché la ciera no falla.

BEAT.

Mi avete conosciuto dunque.

TON.

Subito, alla prima. So chi ; la memoria me serve.

BEAT.

Mi avete forse veduto a Venezia?

TON.

Giusto, a Venezia. No v’arecordè quella volta...

BEAT.

Quando, signore?

TON.

Quando che ve sbatteva le man.

BEAT.

Le mani? non me ne ricordo.

TON.

No ve recordè? in teatro.

BEAT.

Mi ha veduto in teatro?

TON.

Sì ben, v’ho cognossù. Quando che fevi de qua, de , con quel bel spazzizo, con quei motti, con quella bella azion. (fa vari atteggiamenti sgarbati, volendo imitare l’azione di un musico)

BEAT.

Io non so di aver fatto simili scioccherie.

TON.

Giusto! no ve recordè, co cantevi quell’aria: La la ra la la la la la ra la la la...

BEAT.

Ma, signore, per chi mi prendete?

TON.

Oh bella! per un musico.

BEAT.

Io musico? credevo che mi conosceste, ma siete in errore.

TON.

Ma chi seu, sior?

BEAT.

Sior? Siora, dovete dire, signor veneziano.

TON.

Cossa? Siora?... Xela forsi?... oh magari! (allegro)

BEAT.

curioso costui). (da sé)

TON.

Me pareva e no me pareva... donna... femmena!

BEAT.

Vi vuol tanto a capirlo?

TON.

Donna! colle braghesse! oh cara! co te godo!

BEAT.

Adagio, adagio; non mi state a far l’insolente.

TON.

Me xe vegnù el ballon sul brazzal, e la vol che perda una botta?

BEAT.

Siate prudente, altrimenti...

TON.

Mi vegno alle curte. Cossa fala qua in sta locanda? xela vegnuda a posta per mi?

BEAT.

Non signore, non vi ho nemmeno per il pensiero.

TON.

No importa. Sala per cossa che mi son vegnù a Roma?

BEAT.

Per che cosa?

TON.

Per maridarme.

BEAT.

E vi vorreste maritare così su due piedi?

TON.

Mi son cussì; le mie cosse le fazzo presto.

BEAT.

Che cosa direbbe il signor Ottavio?

TON.

Lo conossela sior Ottavio?

BEAT.

Lo conosco sicuro.

TON.

No la ghe diga gnente, che avemo parlà. Faremo le cosse in scondon.

BEAT.

Avete soggezione di lui?

TON.

No gh’ho suggizion, ma gh’ho gusto che nol lo sappia.

 

 

 


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