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FABR.
OTT.
(Era meglio ch’io me n’andassi). (da sé)
Sior Fabrizio, me raccomando a vu; sior Ottavio me vol far metter in preson. Cossa dirà i zentilomeni da Torzello?
OTT.
Signore, vi riverisco. (a Fabrizio, in atto di partire)
FABR.
Signor Ottavio, favorite venire nella mia stanza; ho bisogno di discorrer con voi.
El se n’ha per mal, perché gh’ho dito quel che m’avè dito. (a Fabrizio)
OTT.
Con che fondamento potete voi parlare di me in sì fatta guisa? (a Fabrizio)
FABR.
Signore, voi conoscete la semplicità del signor Tonino. Fatemi il piacere di venir meco. Sono un galantuomo; e spero che resterete di me soddisfatto.
OTT.
Compatitemi. Ho qualche premura. Non posso più trattenermi.
FABR.
Se ricusate di parlare con un uomo onesto qual io sono, darete da sospettare che sia vero quello che di voi si dice. Fidatevi della mia puntualità, della mia onoratezza, e vi assicuro che sarà meglio per voi.
OTT.
Bene, verrò a sentire quel che volete dirmi. (Che cosa posso perdere nell’ascoltarlo?) (da sé)
FABR.
Signor Tonino, restate qui fino che noi torniamo. (parte)
OTT.
(Spicciatomi da costui, parto immediatamente). (da sé, e parte)