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ROS.
Gran cose, signor zio, ho veduto e sentito.
FABR.
Non si poteva aspettare diversamente un perfido come lui. Vedete, signor Tonino, se io vi diceva la verità?
Sior Fabrizio, per carità, no me abbandoné.
FABR.
Se piacevi di restar meco e dipendere da’ miei consigli, vi chiamerete contento.
Farò tutto quel che volè, me basta una cossa sola.
FABR.
Che cosa?
ARL.
Fe come ho fatto mi, sior Tonin.
ARL.
M’ha piasso la cameriera della locanda, e me l’ho sposada.
Se podesse, farave l’istesso anca mi con quella cara colonna. (verso Rosaura)
FABR.
Vi piace mia nipote? (a Tonino)
Assae, assae; ghe lo zuro su la mia nobiltà.
FLOR.
Un giuramento che costa dieci ducati.
FABR.
ROS.
Io mi rimetto a tutto quello che fate voi. (a Fabrizio)
FABR.
Bene dunque. Datevi la parola, e prendiamo tempo un anno a stabilire le nozze. Vedremo in questo tempo che cosa ci possiamo compromettere dal signor Tonino. Nel corso di quest’anno il signor Florindo favorirà di non frequentar la mia casa, così volendo ogni riguardo ed ogni onestà. Voi, donne, andate al vostro destino. (a Beatrice ed Eleonora) E voi, signor Tonino, se volete essere un giorno contento, ascoltatemi e fidatevi dell’amor mio. Il cielo vi ha liberato da un assassino; e da quello che gli è succeduto, e dal fine che a lui sovrasta, imparate a seguire l’onestà e la virtù, e a detestare perpetuamente il vizio, gl’inganni ed il mal costume.
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