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ROS. Caro Florindo, mi parete di poco buon umore.
FLOR. No, anzi son allegro, ho vinto cinquecento zecchini.
ROS. Ma averete patito la mala notte; siete un poco pallido, siete abbattuto.
FLOR. Oibò, non è vero. (sbadiglia)
FLOR. No davvero. Prendiamo il tabacco. (prende il tabacco, e ne dà a Rosaura)
FLOR. Tenete. (le dà la scatola)
FLOR. Oh, che a me non mancano scatole. Ne ho ordinate due d’oro; ne darò una a voi. (sbadiglia)
ROS. Vi ringrazio; la prendo perché ho da essere vostra sposa; ma quando si concluderanno queste nozze?
FLOR. No. (strofinandosi gli occhi)
ROS. Mio padre bramerebbe due cose. La prima, che voi lasciaste il giuoco; la seconda, che si stabilisse il nostro matrimonio.
FLOR. Sì, si stabilirà. (appoggiandosi al tavolino)
ROS. E il giuoco lo lascerete?
FLOR. Sì. (si va addormentando)
ROS. Voi siete un giovane pieno d’ottime qualità, ma credetemi che il giuoco vi rovina. Tutti dicono che non abbadate alla vostra casa, che trascurate i vostri interessi, che perdete i denari ed il tempo, ed io certamente per causa del giuoco non posso lodarmi di voi... Signor Florindo... Oh meschina me! Si è addormentato. Poverino! Non avrà dormito la notte, non ho cuore di risvegliarlo.
FLOR. Sette. Non va altro. (dormendo e sognandosi)
FLOR. Sette, no, no. (come sopra)
ROS. Anche dormendo il giuoco lo tormenta.