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FLOR. (Non ho più sofferenza; questi vecchi mi fanno venire il vomito). (da sé)
GAND. Io non cerco se siete vecchio.
FLOR. Riverisco umilmente lor signori.
PANC. (Oh diavolo! Ci avrà egli sentito?) (da sé)
GAND. Oh signor Florindo bello, buon giorno a vossignoria. Che fate? State bene, caro?
FLOR. Signora, sto bene a’ vostri comandi, e sono qui per incomodarvi con due parole, se vi contentate.
GAND. Sì, figlio, sì, parlate che v’ascolto. Compatitemi, signor Pancrazio, questo giovine l’ho veduto nascere, gli voglio bene.
PANC. Sì, l’avete veduto nascere, ma ora è grande e grosso.
GAND. E per questo? non posso fargli delle finezze? Potrebbe esser mio figlio. Venite qua, caro, venite qua.
PANC. (Ho una rabbia che mi sento rodere). (da sé)
FLOR. (Cara signora Gandolfa, vorrei segretamente parlarvi fra voi e me, senza che sentisse quel vecchio). (piano)
GAND. (Aspettate, vita mia, farò che vada via). Signor Pancrazio.
GAND. Siete molto pallido in viso. Vi vien la febbre?
GAND. Che cosa avete, che avete gli occhi incantati? Oh che labbri smorti! Guardate che vi trema la bocca; poverino, non vorrei che vi venisse qualche accidente. (a Pancrazio)
PANC. Oimè! mi par che mi venga male.
GAND. Presto, andate a prendere qualche cosa, non perdete tempo.
GAND. Or ora mi cadete in terra.
PANC. Con quel giovinotto...
PANC. (Ahi! ho paura. Mi sento tremar le gambe. Vorrei andare... Vorrei restare... Sudo da capo a piè. Presto le pillole. Io prenderò le pillole dallo speziale, ed ella le prenderà da quel giovinotto). (da sé, parte)