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GAND. Il vecchierello è andato. Venite qua, il mio caro Florindo, sedete vicino a me. Quando vi vedo, mi consolo; sono un poco vecchia, ma mi piace la gioventù.
FLOR. Siete stata sempre briosa, e lo sarete sino che viverete.
GAND. Oh figlio mio, se mi aveste conosciuta trent’anni sono! Se mi aveste veduta! Non vi dico altro.
FLOR. Ancora vi conservate bene.
GAND. Sono avanzata negli anni, ma in certe cose non la cedo ad una giovane.
FLOR. E quali sono queste cose?
GAND. Eh furbettaccio, vorreste che vi facessi ridere.
FLOR. Fatemi il piacere, spiegatevi.
GAND. Via, non mi fate venir rossa.
FLOR. Orsù, per non farvi arrossire, mutiamo discorso. Io ho bisogno di voi, signora Gandolfa.
GAND. Che cosa volete da me, caro Florindo?
FLOR. Ho bisogno di un favor grande.
GAND. Sì, figlio mio, quel che posso, lo farò volentieri.
FLOR. Ho bisogno di cinquanta zecchini.
GAND. Uh, uh, dove ho io tanti denari? Cinquanta zecchini? Dove volete che io li trovi?
FLOR. Via, cara signora Gandolfa, so che ne avete.
GAND. Vi replico che non ne ho.
FLOR. Avete tremila ducati l’anno d’entrata. Voi non ne spendete nemmeno mille.
GAND. Sì, tremila ducati, ma non riscuoto le pigioni delle case, i poderi non fruttano, non posso riscuotere i censi e non si tira un soldo.
FLOR. Dunque non avete denari?
GAND. Non ne ho, figlio mio, non ne ho.
FLOR. Pazienza! Perdonate l’incomodo. (s’alza)
FLOR. Bisogna ch’io vada in qualch’altro luogo a procurarmi questi cinquanta zecchini.
FLOR. Anderò dalla signora Pasquella, la quale è una buona vecchietta amorosa, che mi vuol bene, e se le farò quattro finezze, mi darà i cinquanta zecchini.
GAND. Vi darà i cinquanta zecchini?
GAND. Ma le farete quattro finezze.
GAND. A me, per altro, non le avete fatte.
FLOR. Se credessi che le gradiste, ve le farei.
GAND. Da voi, figlio mio, prendo tutto.
GAND. Oh che finezza magra! Non ne sapete fare delle migliori?
FLOR. Ma io perdo il tempo, ed ho premura dei cinquanta zecchini; signora Gandolfa, vi riverisco.
GAND. Aspettate, aspettate; sentite, figlio mio, cinquanta zecchini non li ho, ma se vi premono, li troverò.
FLOR. Oh il ciel volesse! Mi fareste il maggior piacere del mondo.
FLOR. Tanto.
GAND. Andrete dalla signora Pasquella?
GAND. Le vostre finezze di chi saranno?
FLOR. Tutte vostre.
GAND. Ah furbetto! mi burlerete.
FLOR. No, cara signora Gandolfa, non vi burlerò. (Mi sento che non posso più). (da sé)
GAND. Volete li cinquanta zecchini?
FLOR. Non vedo l’ora d’averli.
GAND. Che cosa poi ne farete?
FLOR. Ho da depositarli per una lite.
GAND. Ah, voi li giuocherete.
GAND. Voi li giuocherete.
GAND. Fermatevi, aspettate, prendete; per voi mi cavo un gallone. (si leva dal fianco un rotolo, con dentro delli zecchini) (Ah, mi piange il cuore, mi porta via le viscere. Ma Florindo è tanto leggiadro, che non posso far a meno di consolarlo). (da sé)
FLOR. (La vecchina ci è cascata. Non vedo l’ora di poter giuocare e rifarmi). (da sé)
GAND. Florindo. (con qualche mestizia)
GAND. Ah! Questi sono li cinquanta zecchini.
GAND. Prendete. (Mi vien voglia di piangere). (da sé)
FLOR. Vi sono tanto obbligato.
GAND. Via, mi fate una finezza?
FLOR. Volentieri. Oh, ecco vostra nipote.
FLOR. Ecco la signora Rosaura.
GAND. Venite qua, cane, venite qua.
FLOR. Un’altra volta, un’altra volta. (Eppure è vero, il giuocatore trova sempre denaro). (da sé, parte)
GAND. Come! Così mi pianta? Nel più bello va via? Ah poveri miei zecchini!