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Florindo, il servitore del casino, poi Lelio e Tiburzio.
SERV. Illustrissimo, anderò via.
SERV. Oh, vuol degnarsi di giuocar con me?
FLOR. Il dieci, a uno zecchino.
SERV. Come comanda. Dieci, a un zecchino. (taglia)
FLOR. Presto, avanti che venga gente.
SERV. Dieci, ella ha vinto. Ecco un zecchino.
SERV. Ah, pazienza! Mi ha rovinato.
LEL. (Osservate il vizioso, giuoca coi servitori). (piano a Tiburzio)
TIB. (Leviamolo, che non perdesse i denari con colui). (piano a Lelio)
SERV. Oh povero me! Mi ha sbancato.
LEL. Che diavolo fate? Non vi vergognate a giuocare co’ servitori?
SERV. Ha provato a sbancarmi, e mi ha sbancato.
LEL. Non è vostro decoro. (a Florindo)
FLOR. Dite bene, ma quando vedo giuocare, non posso fare a meno. Va via di qua. (al Servitore)
SERV. Ora mi caccia via? Doveva farlo prima.
SERV. Mi ha vinto vicino a tre zecchini.
FLOR. Hai avuto l’onore di giuocare con me.
SERV. Maledetto quest’onore. (Ma mi rifarò, gli metterò in conto tante carte di più, fino che sarò venuto sul mio). (da sé, parte)
TIB. Caro signor Florindo, voi mi scandalizzate a giuocar con quella sorta di gente. Non avete paura che vi rubino?
TIB. (È furbo l’amico!) (da sé, deridendolo)
LEL. E poi arrischiare il vostro denaro contro un piccolo banco?
FLOR. Avete ragione. Ma il desiderio di giuocare qualche volta mi fa fare degli spropositi.
LEL. Se volete giuocare, giuocate con noi. Noi vi serviremo.
TIB. Almeno giuocherete con galantuomini.
FLOR. Oh via, vogliamo fare un taglietto?
FLOR. Ma io non voglio tagliare.
FLOR. Benissimo. (Oggi sono più fortunato a mettere, che a tagliare). (da sé)
LEL. Facciamo portar le carte.
FLOR. Dopo pranzo in questa camera ci si vede poco; andiamo in quell’altra.