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Florindo e le suddette, ritirate.
FLOR. Perché non viene un fulmine a incenerirmi? Perché non viene il carnefice a strozzarmi? Anche gli otto zecchini sono andati, e quel ch’è peggio, venti ne ho persi sulla parola: e questi come li pagherò?
FLOR. Maledetta voi, per causa vostra ho giuocato, per causa vostra ho perduto.
FLOR. Sì, voi mi avete detto che giuocavano...
ROS. Povero signor Florindo, lo fanno giuocare per forza.
FLOR. (Oh diavolo!) Signora Rosaura, la vostra pioggia... Il gioielliere... oggi la porterà.
ROS. Non v’è bisogno che il gioielliere s’incomodi, poiché l’ha ricuperata mio padre. Ecco, signor Florindo, svelate tutte le vostre belle virtù. Mi avete promesso di non giuocare, e mi avete mantenuta esattamente la vostra parola; mi avete data la fede di sposo, senza ricordarvi dell’impegno che avete colla signora Beatrice. Mi avete carpita dalle mani una gioja, e l’avete sagrificata al vostro dilettissimo giuoco: siete un indegno, siete un perfido, un mancatore. Confesso avervi amato, e l’amor mio pur troppo mi ha fatto far dei passi falsi, sino a venire due volte in un giorno a ritrovarvi al casino. Ci venni, sperando in voi un uomo onorato, uno sposo fedele, ma poiché siete un’anima scellerata, vi abbandono, v’odio; e assicuratevi che a voi più non penso. Mi avete stamane regalata una tabacchiera, tenetela, ch’io non voglio di voi memoria. (la getta in terra) Vergognatevi dei vostri inganni, arrossite delle vostre infedeltà, e imparate ad essere più onorato, se non volete terminare i giorni vostri con una sì grande infamia. Perfido, scellerato, impostore, vi odio quanto v’amai, e vi abborrirò fin che io viva. (parte)
BEAT. (Ora che si è sfogata Rosaura, tocca a me dirgli l’animo mio). (da sé)
FLOR. (Prende da terra la scatola)
BEAT. Dopo aver formata scrittura meco, avete ardire di promettere fede ad un’altra? Rispondetemi. Con qual faccia avete potuto farlo?
FLOR. (Questa scatola potrebbe essere la mia fortuna). (da sé, parte)
BEAT. Indegno! Così mi lascia? Ma il rossor lo ha fatto partire. Non ha coraggio di sostenere i miei giusti rimproveri. Poco però m’importa. Già di lui io era oramai nauseata. L’amavo perché era ricco, amavo l’onore di divenire sposa d’un uomo di conto, ma poiché il giuoco l’ha rovinato, poiché divenuto è miserabile, di lui non mi curo, ed incomincio da questo momento a figurarmi di non averlo mai conosciuto. (parte)