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POLID. Chi mi vuole; chi mi domanda?
CON. Signor Commissario, favorite prestarmi venti zecchini.
POLID. Per chi?
CON. Per me.
CON. Per giocare.
CON. Fate presto.
POLID. Aspetti un poco. (tira fuori un libretto di memorie)
CON. Non mi fate perdere la pazienza.
POLID. Favorisca. Il signor Conte Claudio, tenente di cavalleria, deve dare a conto delle sue paghe zecchini 60. (leggendo)
POLID. Favorisca una cosa sola.
CON. E che cosa?
CON. A un cavaliere par mio si domanda una sicurtà? Sono uffiziale, son galantuomo, e nell'armata son conosciuto.
CON. Benissimo, benissimo, e mi domandate una sicurtà?
POLID. Io non le domando la sicurtà del danaro.
CON. Di che dunque?
POLID. Che domani mattina una palla di moschetteria o di cannone non coroni le glorie del signor Conte, e non porti i miei venti zecchini nei fortunati esilii degli eroi militari.
CON. Se morirò, sarà tutto finito.
CON. E se viverò, vi sarò debitore di cento zecchini; a questo patto me li volete dare?
POLID. Quando c'è il rischio, credo si possa fare.
CON. Date qui dunque.
POLID. Benissimo. (tira fuori il libro)
CON. (Quel maladetto libro mi vuol far delirare). Aspettatemi, che ora vengo. (al tagliatore)
POLID. In tutto zecchini cento. (scrive sul libro) Favorisca di porvi la di lei firma. (al Conte)
CON. Benissimo. (scrive sul libro)
POLID. Ecco venti zecchini. (dà il danaro al Conte)
CON. Obbligatissimo. (In questa maniera i commissari si fanno ricchi). Eccomi qui, tagliate. (al tagliatore)
ASP. Serva sua, signor padre. (a Polidoro, che vuol partire)
POLID. Oh figlia mia, cosa fate qui?
ASP. Sto qui un poco in conversazione.
ASP. Mio padre è il miglior uomo di questo mondo. (a Ferdinando)
FERD. Se io gli domandassi una cosa, vorrei che mi rispondesse benissimo.
ASP. Capisco, capisco quello che gli vorreste chiedere, ma prima ch'ei rispondesse, avrei da risponder io.
FERD. E voi che rispondereste?
ASP. Se andate alle schioppettate, malissimo.
FERD. Brava, cosí mi piace. Alla vostra salute. (beve)
ASP. Portate un'altra bottiglia. (a un servitore)
FLO. Donna Aspasia ha un bel divertirsi. (a Faustino)
FAU. La casa di un commissario di guerra è il fondaco dell'abbondanza. L'oro che consumasi nelle armate, non si perde sotterra; cola nelle mani di alcuni particolari, e i commissari ne hanno la maggior parte.
CON. Non mi restano che tre zecchíni. Vadano questi ancora sul sette.
FLO. Sentite? Se il Conte perde ancor questi, mi aspetto vedere qualche orrida scena. (a Faustino)
FAU. Non temete; siamo qui in molti, non ardirà di trascendere.
CON. Oh sette indiavolato, oh sette maladetto! Datemi quelle carte. (stracciandole) Diavolo, porta chi le ha stampate; diavolo, porta chi ha guadagnato; diavolo, porta me che ho perduto.
ASP. Or ora dà in qualche bestialità.
CON. Eh, non importa. Chi ha fatto, ha fatto. Non ci vo piú pensare. Allegramente. Datemi del Borgogna. Viva la guerra, viva l'amore, viva il buon vino; vivano le belle donne. Vivano i buoni amici, anche quel maladetto tenente che mi ha rovinato.
FAB. Amico, lagnatevi della vostra fortuna.
CON. Sí, hai ragione. Vieni qui, ti abbraccio, ti bacio, tu sei un onest'uomo, ed io sono stato una bestia; ora che non ho danari da giocare, voglio far all'amore. C'è loco per me con alcuna di queste signore?
FLO. Eh via, signor Tenente, pensate che dai vostri compagni si batte ora il Castello che si difende, e voi quanto prima dovrete essere sostituito.
CON. Che importa a me di queste malinconie? Si ha da combattere? andiamo. Si ha da montare la breccia? si ha da scalare le mura? son pronto. Fin che sto qui, non ci penso, vo' divertirmi. Voglio fare all'amore con voi.
FLO. Mi maraviglio. Con me non vi avete a prendere una tal libertà.
CON. Eh via, che cosa volete fare di quel ragazzo? Io, io v'insegnerò il viver del mondo.
FAU. Conte, portate rispetto a questa dama
CON. Io non le perdo il rispetto; ma se fa conversazione con voi, la può fare, e la deve fare ancora con me. (si mette a sedere vicino a Florida)
FLO. Questa è un'impertinenza. (si alza)
CON. Non mi fate scaldare il sangue. (si alza)
FAU. Se il sangue vi si riscalda, vi pungerò io la vena per moderarlo.
CON. V'insegnerò io a maneggiare la spada.
ASP. Eh! signori, in casa del Commissario?
CON. Sí, in casa del Commissario è il luogo dove si scannano gli uffiziali, dove si succhia il sangue delle milizie, e il vostro signor padre per venti zecchini ci permetterà di fare un duello.
FERD. No, caro amico, riflettete al luogo ed al tempo. Guai a voi, se penetra il Generale un simil trapasso sul punto di dover servire ai suoi ordini. Questo non è il tempo a proposito...
CON. Sí, è vero. Ci batteremo dopo la battaglia. (a Faustino)
FAU. Quando vorrete voi. (al Conte)
FLO. Oh cieli! sí poco stimate la vita; vi esponete per cosí poco ai pericoli? Ora non mi sorprende piú tanto, che in allegria ed al gioco passiate l'ore che precedono ai militari cimenti. Credei che l'amor della gloria vi rendesse giulivi e solleciti di conquistare il trionfo sotto i comandi di un generale, giudice e spettatore del vostro coraggio. Credei che con eroica indifferenza andaste incontro ad una vittoria illustre, o ad una morte gloriosa; ma or che vi veggo esporre per cagion sí meschina ad una morte ingiuriosa, mi fate credere che il fanatismo, piú assai che la ragione, vi domini e vi consigli. L'uso che fatto avete di scherzar colla morte, vi rende famigliare il suo nome, e vi esponete ai suoi colpi non per virtú, ma per abito. Se amaste veramente la gloria, dovreste meglio apprezzar la vita per conquistarla, e preferire il debito di buon soldato alla vanità di un imprudente coraggio. (parte)
CON. Viva la dottoressa. Facciamole una canzona per la bella lezione che ora ci ha fatto.
FAU. Donna Florida favellò con ragione.