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CIR. Aiuto. Aiutatemi. (al Conte che lo solleva) Oimè, sono rovinato.
CON. Ve la siete ben meritata.
CIR. Gliel'avete dato il zecchino?
CIR. Sí, per farmi dispetto; ma non avete né testa, né prudenza, né civiltà.
CON. A me questo?
CIR. Sí, a voi. Io ho avuto amicizia colle piú belle ragazze di questo mondo, e non ho mai speso un quattrino, e voi buttate via il danaro cosí? Stolido, scimunito, minchione.
CON. Don Cirillo, parlate meglio.
CIR. E al giorno d'oggi, stroppio cosí come sono, son padrone di farmi correr dietro tutte le donne ch'io voglio; e mi parerebbe di ridere a farvi stare, bertuccione, vigliacco.
CON. Siete un temerario, un impertinente.
CIR. A me temerario? a me temerario? (saltando)
CON. A voi, e se non foste nello stato in cui siete, v'insegnerei a parlare.
CIR. Non ho paura di voi, e, cospetto di bacco, mi voglio battere.
CON. Non mi vo' mettere con uno stroppio.
CIR. Se ho stroppia la gamba, non ho stroppia la mano; ci batteremo colla pistola.
CON. Bene, ad altro tempo ci rivedremo. (parte)
CIR. Crede forse di farmi paura? Ho fatto ventisette duelli, e son soldato d'onore, e don Cirillo, anche senza una gamba, sempre sarà don Cirillo.
E viva la guerra, e viva l'amore ecc. (cantando e saltando parte)